Archivio di ottobre 2010

“La fortuna di esser gatto…” Secondo i buddisti il gatto é l’ultima incarnazione dello spirito prima di nascere nella forma umana!

Ante Scriptum:

 

Quando nel 450 a.C. Lo storico greco Erotodo si recò in Egitto rimase oltremodo scioccato nel constatare che gli egiziani non si considerassero una specie diversa dai loro animali, con particolare riferimento ai gatti..” (Saul Arpino)

 

Sull’origine dei gatti, esistono numerose storie e leggende create ed inventate nel corso della storia, ma la storia che qui si narra, non è fantasia ma pura realtà.

Si parla della caccia alla donna anti gatto. E’ stata ripresa ed identificata con una telecamera di sorveglianza, la donna inglese mentre butta un gatto in un cassonetto.  Un’attempata signora, apparentemente innocua, sembra si fermi ad accarezzare il felino, ma guardandosi intorno ed in assenza di testimoni, apre così il cassonetto più vicino e ci butta dentro il gatto! Ma la signora a non si è accorta della telecamera che l’ha ripresa, e così dopo poco la coppia a cui era sparito il gatto, l’ha recuperato trovandolo che miagolava chiedendo aiuto da dentro il cassonetto. Il video della telecamera ha fatto il giro del mondo, e si è scatenata sul web una vera e propria caccia alla donna, tanto che la donna ha dovuto richiedere protezione alla polizia, a causa di tutte le persone infuriate per questo suo ignobile gesto.

 

Dal punto di vista scientifico, secondo recenti ricerche, il gatto domestico altro non è che una sottospecie di quello selvatico (Felix Silvestris) dal quale probabilmente si è distinto circa 130000 anni fa. L’ addomesticamento del gatto si pensa abbia avuto origine molto lontana nella storia, risalendo tra gli 8000 e 10000 nei periodo neolitico nella regione della “mezza luna fertile”.

E’ l’ epoca che corrisponde all’ inizio della cultura dei cereali e dall’immagazzinamento  di cereali che non deve essere attaccata dai roditori. E’ difficile stabilire con precisione l’ epoca di addomesticamento della razza felina, visto che i gatti domestici si differenziano di poco da quelli selvatici e quindi non si distinguono i resti archeologici.

 

Nell’antico Egitto, il gatto era considerato un animale sacro, la rappresentazione terrestre della Dea Bastit. Alla sua morte la famiglia che lo ospitava doveva radersi le sopracciglia in segno di lutto, e veniva seppellito con tutti gli onori in appositi cimiteri. Nel corso della storia sono stati trovati molto reperti di gatti mummificati , utilizzati poi come fertilizzante nelle campagne inglesi, dopo i loro ritrovamento.

 

In Egitto l’esportazione dei gatti veniva punita severamente. Questo né favorì la diffusione invece grazie ai Fenici , che lo contrabbandarono per venderlo a ricche famiglie nel mediterraneo. Venne importato in Europa dai Romani, e qui si incrociò con il gatto selvatico nordico più resistente e robusto. In Europa tra il 1200 ed il 1600 i gatti erano considerati quasi l’ incarnazione del diavolo, per la loro indole misteriosa e delle abitudini notturne e venne perseguitato per lungo tempo. Una usanza narra che nella notte di San Giovanni venivano bruciati vivi centinaia di gatti nelle piazze, racchiusi nelle ceste insieme alle donne arse vive per stregoneria.

 

Si narra proprio in questo periodo della peste, favorita anche dalla numerose malattie, dal proliferare dei topi e delle scarse condizioni igieniche portatrici del morbo. Bisogna giungere ed attendere il XVIII secolo per avere un privilegio a favore dei gatti. In Asia da sempre è considerato privilegio di fortuna. Da sempre il gatto, malgrado le numerose specie, rimane un piccolo felino tigrato, molto indipendente, ma talvolta abitudinario, a cui e difficile orientarsi all’arrivo di nuove persone in casa, soprattutto se bambini o peggio ancora l’ arrivo di un nuovo “intruso gatto” di cui sarebbe geloso non essendo più al centro dell’attenzione. Per loro quale quindi sempre il detto meglio solo che male accompagnato!

Rita De Angelis

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“Yes America..” – Paolo D’Arpini, Riccardo Forte…. e i danni della Coca Cola

Ante Scriptum

 

Devo ritornare sul discorso della Coca Cola, dopo la pubblicazione dell’articolo scherzoso in cui si denunciano tutti i mali della bevanda di satana, una provocazione senza intenzioni bellicose…

 

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2010/10/01/trasmutazione-genetica-italia-o-america-quanti-sono-gli-americani-nello-stivale-mode-che-cambiano-lanimo-ed-il-corpo/

 

Per me é stato un gioco ma vedo che molti l’hanno presa sul serio, con tutta una discussione in corso su internet, persino sulla lista di European Consumers.

 

Allora debbo dirvi che bevo anch’io una volta al mese circa un bicchiere o due di Coca Cola, solitamente quando vado in pizzeria per accompagnare la pizza (visto che non bevo vino o birra). Sono viziato? Beh in questa fase non credo, però ricordo che in altri momenti della mia vita se bevevo molte cocacole durante il giorno mi veniva voglia di berne ancora ed ancora.. e tra l’altro mi sentivo sempre assetato, insomma era una sorta di droga, altri effetti collaterali erano la tensione (forse dovuta alla caffeina) ed una tendenza a fare l’americano (leggetevi l’articolo soprastante e capirete meglio) ma quest’ultimo effetto non so se fosse veramente legato alla cocacola od alla moda di quegli anni (vi parlo della fine anni ‘50 primi ‘60). Ho comunque notato che la tendenza a bere bevande gasate, coke o fante, e di buttare le lattine in giro é rimasta anche negli anni recenti soprattutto nelle dimostrazioni e sfilate di protesta dei verdi e dei comunisti.. Di solito si capisce quali sono i tragitti della manifestazioni “ecologiste” dalla quantità di lattine e bottigliette abbandonate lungo il percorso….

Buona continuazione del discorso, in attesa che si riprenda a parlare di “scie chimiche”…

 

Paolo D’Arpini

……

Ed ora leggetevi l’ultimo intervento sul tema “Coca Cola” del “forte” Forte

 

Mio cuggino mi ha detto che una volta ha bevuto un bicchiere di Coca Cola e poi è morto” (cfr. Elio Elst)

 

Insomma la Coca Cola fa male? E chi lo ha detto?

 

Se fa male come fa male, in generale, una bevanda gassata, allora è vero: la Coca Cola fa male.

Se invece fa male peggio e di più perché è comprovato che provoca ben identificate conseguenze negative sulla salute, allora mi chiedo perché sia ancora in commercio. La storiella del componente segreto della Coca Cola è appunto una storiella, perché in nessun paese occidentale è possibile mettere in commercio un prodotto alimentare la cui composizione non sia integralmente dichiarata e conforme alla legge.

 

Del resto, la composizione originale della Coca cola è protetta da brevetto e quindi non può essere copiata. Se contenesse qualche ingrediente intrinsecamente nocivo per la salute, non potrebbe essere immessa in commercio.

 

Cos’è che fa male? L’Aspartame e la saccarina utilizzati nelle coca Light? E’ vero: fanno male. Ciò nonostante la ggente è così stupida che preferisce mettere aspartame nel caffé al posto dello zucchero, e masticare chewing gum e caramelle senza zucchero (ma con aspartame) e bere bibite senza zucchero (ma con aspartame).

Forse è il caramello che fa male? o l’anidride carbonica?

Però la coca cola fa male.

E la Pepsi? perché nessuno dice che la Pepsi fa male? la composizione è praticamente identica a quella della coca, soprattutto per quanto riguarda il contenuto di caffeina e l’estratto di cola. E la Virgin cola? e le varie imitazioni esistenti in commercio?

 

Certo però, se uno si beve due litri di coca cola tutti i giorni, è probabile che prima o poi (prima) accuserà dei disturbi.

Ma la colpa non sarà della coca cola, ma sua personale.

 

Per il momento, più che la Coca Cola, a me pare che a far male siano tutti i maniaci del complotto che continuano a diffondere leggende metropolitane

sulla pericolosità della Coca Cola. Sono loro il vero pericolo.

Ma non eravate occupati a studiare le scie chimiche?

Riccardo Forte – forte@cmfem.it

 

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Maurizio Blondet: “Le sacre scritture fanno la storia…?”

Lunario Paolo D'Arpini 4 ottobre 2010

Fu dunque un vento a 100 chilometri l’ora ad aprire il Mar Rosso davanti a Mosè e agli ebrei in esodo dall’Egitto? Lo dice lo scienziato Drews ritenuto buono da Stefano Maria Chiari. Il don Ferrante del Manzoni negava con la stessa scientificità che la peste fosse contagiosa (e che dunque occorresse evitare gli affollamenti) e dimostrava con razionalissimi argomenti aristotelici che la causa della pestilenza era la cometa apparsa due anni prima. Sarà bene evitare, in questo sito cattolico, di appendere la nostra fede a questo tipo di argomentazioni, per non travolgere la nostra fede nel ridicolo di cui si coprì don Ferrante.

E non solo questo. Informarsi sulle scoperte rivoluzionarie dell’archeologia in Palestina non è occuparsi di cose antiche, da eruditi. Al contrario, stiamo parlando della più scottante attualità.

La Torah – i primi cinque libri della Bibbia – costituiscono la storia del moderno Stato d’Israele. E la Torah narra di come il solo e vero Dio ordinò agli antichi israeliti di invadere e conquistare la terra di Canaan, strappandola alle popolazioni che le abitavano ma non ne erano degne, anzi ordinando loro di sterminare quelle genti totalmente, compresi donne bambini e animali, ogni essere che respira.

E’ in forza di questa storia primordiale e feroce che lo Stato sionista s’è impadronito del 90% dei terreni e delle case prima abitate dai palestinesi, con una serie di guerre di conquista echeggianti (e celebrate come) le conquiste fulminee di Giosuè, il successore di Mosè, contro i piccoli regni di Canaan. E’ in forza di questo diritto divino che i coloni ebraici occupano anche quel poco di terreni che è rimasto ai palestinesi, strappano i loro oliveti, li angariano e li uccidono. E’ a causa di questa storia che lo Stato d’Israele rigetta ogni trattativa con le autorità politiche che i palestinesi hanno eletto: trattò forse Giosuè con i moabiti, gli amorrei, gli abitanti di Gerico e gli altri cananei? Li massacrò fino all’ultimo.

 

La verità storica del racconto biblico è il fondamento della legittimità del moderno Israele. I suoi cittadini non si vivono come americani, europei, australiani andati ad occupare con la violenza terre di altri, in base ad una ideologia suprematista, il sionismo, elaborata nel XIX secolo tra Vienna e Pietroburgo; sono invece ritornati a Sion dopo 2 mila anni di esilio – ricorrente biblica sventura del popolo eletto e sofferente – ed attendono al loro riscatto. Si sono ripresi la loro eredità, com’è loro diritto biblico. E tutto quel che segue – guerre di conquista, primitiva mancanza di pietà e umanità verso gli altri, discriminazione razziale degli occupati, aggressione periodica dei vicini, rifiuto di ogni accordo con essi, applicazione della halacha (legge talmudica) come preminente rispetto al diritto moderno – non è ai loro occhi che obbedienza alla Legge di YHVHY di fronte a cui, logicamente, le leggi umane non hanno alcun peso.

 

Se dunque l’archeologia smentisce questa pretesa storicità – non ci fu conquista armata di Canaan, le 11 tribù di Israele del Nord non furono mai unificate da re David col piccolo regno di Giuda al Sud, del grandioso tempio di Salomone e della sua fastosa reggia non si trova la menoma traccia materiale, la Bibbia stessa si comprova un testo di propaganda rimaneggiato per secoli, ben oltre l’era cristiana – da cristiano vedo in questo una suprema ironia della Provvidenza.

Proprio adesso che la Torah serve a legittimare, anzi a sacralizzare un potere politico malvagio e omicida, proprio in questo momento storico riceve la sua smentita più clamorosa; e da archeologi israeliani che, ormai padroni del territorio, hanno potuto fare scavi e prospezioni in ogni metro della terra santa, ottenendo smentite sempre più precise e circostanziate.

Non è un bellissimo scherzo? A me sembra d’intravvedere il sorriso di Cristo maestro d’ironia, quando rispose ai discepoli che – da ebrei ancor ciechi – litigavano su chi di loro sarebbe stato il più importante nel regno di Dio.

 

Invece, siamo qui, cattolici intimoriti, a cercare di salvare la storicità dell’Antico Testamento (pronti a rifiutare scienziati veri come quelli della facoltà di Archeologia di Tel Aviv, e a dar credito al modello matematico dello scienziato Drews luterano) per paura che se la Bibbia cade, cada anche Cristo.

 

Che debole fede, se si aggrappa a miti ormai insostenibili; e che pericolo per la fede, se ci ostiniamo ad appenderci a quella narrativa, e da essa facciamo dipendere la verità della Chiesa.

Non abbiamo visto abbastanza miracoli, guarigioni, prodigi di carità nei suoi Santi, anche contemporanei? La fertilità inesauribile della fede in Cristo e dei suoi sacramenti nel cambiare le anime, nel condurre ad azioni di carità e generosità eroica, e lo stesso suo contributo al miglioramento dei costumi e della civiltà umana, non ci ha ancora convinto?

 

Ovviamente, so che nella fede cattolica, Antico e Nuovo Testamento costituiscono un tutt’uno, e che la proposta (del vescovo Marcione) di separarli è stata condannata canonicamente. So e comprendo la scossa per la fede che possono subire semplici anime, ad apprendere che, se non la realtà storica, la regalità, le imprese, la unificazione dei due regni di David – da cui Gesù discende carnalmente – s’è ridotta ad un nucleo mitico minimo e incerto. Lo so e non ho risposte, se non una molto provvisoria: come sapete, la famiglia di Cesare, la gens Julia, vantava di discendere, tramite Enea, da Venere. E sicuramente la nobile famiglia conservava come suo più prezioso retaggio l’albero genealogico comprovante tale discendenza, a cui allora si sarà attribuita la massima importanza e prestigio. Oggi, nessuno fa dipendere il giudizio storico su Giulio Cesare e il suo erede adottivo Ottaviano Augusto, dalla domanda se Enea, il capostipite, sia esistito davvero, anzi nessuno attribuisce il minimo interesse a questo particolare.

Voglio dire: se David era un modesto capotribù altrimenti ignoto, se suo figlio Salomone – ammesso sia esistito – non costruì mai alcun Tempio, palazzo e stalle fastose, non è la divinità e grazia di Gesù a cadere; è la pretesa retrograda di imporre come veri e accettabili una concezione della legge che è un rigurgito di primitivismo feroce, in quanto vigente nell’età del Ferro.

L’archeologia ha comprovato che gli sterminii che la Bibbia attribuisce a Mosè e a Giosuè nel 13° secolo avanti Cristo non avvennero mai, ma furono parto della fantasia e propaganda (per fortuna impotente) di un piccolo popolo troppo ambizioso, elaborato nel sesto secolo avanti Cristo; secondo me, come cristiani dovremmo rallegrarcene, e proclamare ad altissima voce che quella pretesa legge è superata, che non ha posto nel mondo che ha visto Cristo camminare fra noi; che veramente si è compiuto adesso, grazie anche agli studi archeologici, il detto che di tutta questa costruzione «non resterà pietra su pietra», che non sia diroccata.

 

A trionfare, mi pare, è la nozione che «non c’è più giudeo nè greco»; a cadere, una ideologia religiosa così primitivista da proclamare l’idea che c’è un unico Dio universale, ma per un solo popolo – e che infatti viene usata per giustificare pulizie etniche, espulsioni e massacri con armi moderne ultra-letali, maneggiate da neo-primitivi biblici, e credenti che gli altri esseri umani siano animali parlanti, i quali non avranno parte del mondo a venire.

Ciò che veramente impressiona nelle Scritture ebraiche, la Torah e i Libri dei Re e delle Cronache, è l’assenza totale di ogni aspirazione alla vita eterna. Tutti i divieti alimentari minuziosamente descritti dai Numeri e dal Levitico, tutte le purificazioni, abluzioni, imposizioni di endogamia e separatezza dal resto dell’umanità hanno un unico scopo: il mettersi in condizione di possedere una terra, e magari il potere in questo mondo intero. Una chiusura totale nell’aldiquà.

Dobbiamo rattristarci se quei testi vengono dimostrati falsi? Se tutto ciò «è passato e non tornerà»? Se la sola interpretazione della Bibbia a resistere alle smentite archeologiche, è quella metaforica e spirituale  che ne diedero, alla luce di Cristo, i mistici e teologi cristiani?

In quella narrativa lessero ciò che è « utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinchè l’uomo di Dio sia perfettamente attrezzato per ogni opera buona» (2 Timoteo, 3,16). E ciò, «in ordine alla nostra salvezza» (Dei Verbum 13) perchè in quest’ordine, sì, la Bibbia è vera.

 

Non so, perchè non sono addentro alla professione dei teologi-biblisti ecclesiastici, se questo richiederà una profonda riflessione all’interno della Chiesa. Però basterebbe leggere le prefazioni ai libri biblici che si trovano su ogni Bibbia CEI, firmate da luminari dell’esegesi della Lateranense, del Gregoriano, del Marianum, per vedere che costoro sono al corrente delle smentite scientifiche degli archeologi.

 

Un solo esempio, tratto dalla prefazione di A. Stellini, ofm, del pontificio ateneo Antonianum al libro di Giosuè (sulla « conquista della terra santa»):

«… Dall’insieme si ricava l’impressione che la vittoriosa campagna militare dell’occupazione sia stata concertata sotto il comando unico di Giosuè con la partecipazione di tutto il popolo e con lo sterminio totale degli abitanti autoctoni (…) Questa misura, più teorica che reale (sic) è un fatto immaginato a distanza (…). Gli scavi archeologici, che palesano la distruzione di alcune città nel 13mo secolo come Hazor, non sono argomenti del tutto ineccepibili a provare la storicità dei racconti del libro di Giosué. Grande imbarazzo crea il fatto che secondo gli scavi archeologici, Gerico non esisteva come città nel secolo 13mo. Il libro di Giosuè presenta una versione semplificata ed epicizzata della conquista di Canaan, dovuta in gran parte alla storia e immaginazione popolare».

 

Effettivamente, come risulta dalle tavolette egizie di Tel El Amarna, ossia dall’archivio di Stato di Amenothep III e da suo figlio Akhenaton, Canaan era a quei tempi un protettorato egiziano, i cui deboli reucci locali pagavano tributo al faraone e ne chiedevano la protezione: il che rende inverosimile una conquista militare di fuggiaschi dall’Egitto, sotto gli occhi degli egiziani, su un territorio da loro controllato, e senza che il fatto venga segnalato dalla burocrazia pubblica egizia – che tutto osservava e scriveva. Le distruzioni come quella di Hazor vanno addebitate dagli scienziati non agli ebrei, che manco esistevano ancora come precisa entità etnico-politica, bensì al confuso ed enigmatico evento noto come l’invasione dei popoli del mare, che distrusse anche Ugarit e l’impero hittita in Anatolia, dunque ben oltre Canaan – e che i redattori biblici ignorano completamente. Quanto a Gerico, le cui potenti mura crollarono, secondo la Bibbia, al suono delle trombe di Giosuè: non solo come tutte le altre città del luogo era priva di fortificazioni (perchè i protettori egizi interpretavano come volontà di rivolta la costruzione di mura, e intervenivano di conseguenza) ma effettivamente non era abitata nel 13° secolo, data della conquista, e anche un secolo prima e dopo rimase un centro minuscolo e insignificante, senza mura, e per giunta senza segni di distruzione.

Dunque padre Stellini dell’Antonianum è al corrente dei risultati delle ricerche archeologiche (del resto noti già da trent’anni) che smentiscono la narrativa conquistatrice di Giosuè: ma si nota con quanta reticenza e imbarazzo ne dà conto, anzi ne parla il meno possibile, pur ammettendo che si tratta sostanzialmente di « immaginazione popolare», messa per iscritto diversi secoli dopo i (presunti) fatti.

 

Ora, mi domando per quanto tempo questo atteggiamento reticente possa reggere. Le sconvolgenti, rivoluzionarie scoperte dell’archeologia biblica israeliana sono già ampiamente accettate nel mondo scientifico, e per giunta oggetto di accese polemiche in Israele e sui media colti inglesi e americani. Un giorno o l’altro verranno a conoscenza della più vasta opinione pubblica, nelle forme più orecchiabili della divulgazione approssimativa, e rischiano di portare argomenti alla miscredenza di massa. Alla Chiesa sarà chiesto di pronunciarsi, e sarà agitato di nuovo il contrasto tra scienza e fede faticosamente concluso con profusione di scuse sul caso Galileo?

 

Se la colossale smentita della Bibbia operata dall’archeologia non è ancora diventata nozione comune da noi, ciò non si deve tanto alla repressione operata dalla lobby ebraica sui media (anche se la Nirenstein già strilla che il negazionismo archeologico è peggio del negazionismo olocaustico – non a caso le due narrative vigenti e obbligatorie su cui Israele poggia la sua legittimità) e nemmeno tanto alla più spessa coltre di crassa ignoranza italiana su fatti di cultura. La vera causa, temo, è l’indifferenza e l’incredulità di massa verso le cose di Dio: il che non mi sembra un buon rifugio dietro cui la Chiesa possa nascondere il problema.

 

Dico questo anche perchè prevedo l’accusa, da amici tradizionalisti, di eresia marcionista. Sono tentato di rispondere: magari. Le eresie nacquero in tempi di fede così infiammata, che non sembrava troppo rischiare la vita e il rogo per questioni come il monofisismo, se Maria fosse madre di Gesù uomo o di Gesù Dio, o se YHVH fosse lo stesso Dio proclamato da Cristo, oppure un demiurgo inferiore. Ora, temo che le mancate eresie, come le mancate condanne ecclesiastiche, siano il segno di una comune incredulità, e poca passione per la salvezza dell’anima. Possa dunque l’archeologia ravvivare la passione di verità; ma il discorso sia ad un livello di altezza e di rigore, che superi un tantino lo «scienziato Drews» (1).

 

Questo è un articolo di una serie che conto di proseguire. Cominciando, magari, col dar conto delle discussioni che questo tema sta suscitando negli ebrei migliori e nelle loro riviste alte. Chi sa l’inglese, può cercare da solo sul web: Larry Saltzman, The Bible unhearted, e Daniel Lazare, «False Testament: Archaeology refutes Bible’s claim to history». Gli altri abbiano pazienza di aspettare le mie traduzioni».

 

Maurizio Blondet

 

Note

 

1) Sulle qualità scientifiche di questo Drews, basta scorrere il suo sito e la sua biografia, dove si dichiara un membro della chiesa della Anglican Mission in America, e mescola con citazioni bibliche ed evangeliche le sue elucubrazioni «scientifiche» pro-evoluzioniste; il che è ben intenzionato, ma è la strada più certa per fare cattiva scienza, e pessima teologia. Ad archeologi anglo-americani congregazionalisti e alunni delle scuole domenicali, che hanno scavato in Palestina con la pala in una mano e la Bibbia nell’altra, dobbiamo il secolo di cattiva archeologia che le ricerche scientifiche di Finkelstein ed altri stanno finalmente correggendo. Impagabile la conclusione: scrivetemi, ma «Dio legge le email». www.theistic-evolution.com/

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Denise Severa ed il pomo della discordia – Era, Atena o Venere… Dov’è la bellezza?

Lunario Paolo D'Arpini 4 ottobre 2010

Un popolare proverbio recita ” non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace “. Niente di più vero.

 

Ogni individuo ha una propria visione della bellezza e ciò che per molti può sembrare mediocre o non degno di nota, per altri è la più alta manifestazione del Bello.

Molti scrittori, poeti ad artisti hanno cercato di dare una loro interpretazione al riguardo.

 

Platone nel suo Fedro, rappresenta l’animo umano insonne ed insoddisfatto, alla continua ricerca di “colui che possiede la bellezza”. E’ una caccia smaniosa, perchè sa che solo dopo aver trovato la bellezza e goduto di essa, potrà trovare sollievo ai suoi mali e ai suoi affanni. Ma Platone scopre qualcosa di più. Egli infatti comprende che, l’inebriarsi di un piacere cosi grande diventa quasi necessario ed indispensabile per l’uomo, che in esso trova la forza per sopravvivere ai dolori e alle difficoltà della vita. Questa medicina dell’anima non è altro che l’amore. Dunque amore e bellezza coinciderebbero per il filosofo greco,ma un suo successore, tale William Shakespeare, nella lontana Inghilterra affermerà in seguito che è la stessa bellezza ad amare la bellezza così come “gioia ama gioia, dolcezza il dolce. Ma se non riesce a dividere la propria bellezza, gioia e dolcezza si è soli e si è nessuno.”

 

A giudicare dalle parole del poeta inglese, per i cosi detti “belli”si aprirebbero le porte dell’amore, mentre i non belli (preferisco chiamarli così) quelle della sofferenza, a patto che trovino un buon samaritano cosi altruista,da dividere con loro un po’ del suo “dono”. L’essere non belli è davvero un handicap?

Molte ricerche svolte sul campo, hanno riscontrato che l’essere belli e piacenti porta ad un ottimo incentivo nella propria vita.

E’ infatti emerso come,soprattutto le donne, trovino maggiori possibilità lavorative se dotate di fascino e charm e come queste riescano con più facilità ad ottenere promozioni sul lavoro. Ciò porterebbe ad un’impennata alla propria autostima, oltre che alle proprie finanze, rendendo la vita più semplice e gratificante.

Ma esisteranno anche degli svantaggi? Ebbene sì! Anche i belli hanno i loro ostacoli. A quanto pare, ad infrangere il loro bel mondo fatato, ci sarebbe un nemico subdolo : la gelosia.

 

Essa colpisce alle spalle e non sempre si è immuni ad essa o pronti a fronteggiarla adeguatamente.

Ma questo era già stato anticipato da qualcuno nell’Antica Grecia che diffuse il mito meglio conosciuto come “il pomo della discordia”.

In esso si narra che, durante un banchetto nuziale tra gli dei Peleo e Teti, la dea Eris, poiché non invitata al lieto evento, lanciò sul tavolo una mela con su scritto “alla più bella”.

 

Ciò scatenò inevitabilmente l’ira generale delle dee Era, Atena ed Afrodite, tutte convinte di essere le destinatarie di tale dono. Cosi , decisero di nominare un giudice,al quale spettava l’arduo compito di determinare chi tra loro fosse la più bella. Fu scelto Paride, che indicò come vincitrice Afrodite, dopo che questa gli aveva promesso l’amore della donna mortale più bella, Elena. Quello che accadde di lì a breve è ormai leggenda. Per una “bella”, si scatenò addirittura una guerra. Il prezzo della bellezza, direbbe qualcuno.

 

E parlando di prezzi, quanto costa mantenere la bellezza? Parecchio. Sono moltissime le donne e gli uomini che quasi come dei moderni Dorian Gray, si affidano sempre più spesso alle mani esperte dei chirurghi plastici per restaurare la propria immagine e preservare intatta bellezza e giovinezza. Molti storcerebbero il naso di fronte a un tale spreco di tempo,denaro ed energia poiché la vera bellezza è quella “interiore”.

 

Non che sia sbagliato, ma se entraste in una pasticceria quale dolce scegliereste d’istinto? Una meringa esteticamente poco invitante, ma dolcissima una volta assaggiata o un profitterol, invitante e conturbante? Credo sia chiaro che chiunque sceglierebbe il profitterol. Quindi perché con le persone dovrebbe essere diverso? Il colpo di fulmine o amore a prima vista, si dice tale perché è ciò che vediamo a colpire la nostra vista come un fulmine a ciel sereno.

Ovviamente potrebbe trattarsi di un’infatuazione basata solamente sull’attrazione fisica e terminare una volta conosciuta meglio la persona in questione, perché non corrisponde a ciò che cerchiamo, mentre al contrario,in una “meringa” potremmo trovare molti più punti d’incontro e complicità…ma bisogna rischiare. E’ un po’ il vecchio interrogativo che chiedeva a generazioni e generazioni se fosse meglio un uovo oggi o una gallina domani..tutt’ora resta ancora irrisolto.

 

Denise Severa

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“Come Barack Obama, il mancino!” – Rita De Angelis racconta la sua esperienza da “lefthander”

Sono una delle persone nate nel lontano 1962, e faccio parte dei tanti “mancini nel mondo”. Chi legge questo articolo potrà pensare che ormai essere mancini sia una cosa di prassi comune soprattutto in America dove la maggior parte della popolazione che vive in questo continente scrive con la mano sinistra e non con la destra. Un esempio attuale il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ma posso dirvi che ancora oggi ci sono delle, ma posso dirvi che ancora oggi ci sono delle discordanze tra chi scrive e lavora utilizzando la mano destra e chi diversamente utilizza la mano sinistra.

 

Basti pensare che anche mio padre è mancino, ma non ha avuto la possibilità di scrivere con la mano sinistra essendo nato nel 1925, e ha dovuto obbligatoriamente imparare a scrivere con la mano destra, in quanto nella sua scuola “all’epoca” non era tollerato scrivere con la sinistra, poiché considerata come credenza popolare la “mano del diavolo” e quindi è stato coercitivamente portato a scrivere con la mano destra utilizzando un metodo barbaro legandogli la mano sinistra dietro la schiena“.

 

Da circa 40 anni è più questa “costrinzione” non viene più utilizzata in nessuna scuola pubblica o privata, nel momento in cui il bambino di avvicina al mondo della scrittura o del disegno, viene lasciato “libero“ di sperimentare in quale emisfero del “suo cervello” si sviluppa sin dai primi momenti di vita la sua principale “forza emotiva “. In tempi moderni come quelli di oggi, sono stati messi a punto anche alcuni oggetti, di uso comune creati appositamente per le persone mancine, il mouse del computer, le forbici per tagliare, il ferro da stiro, etc. così da non creare nessuna “ disparità “ tra i destri ed i mancini. E’ importante quindi continuare a festeggiare il tutto il mondo il 13 agosto come giornata “tipica“ di questo evento, la Giornata mondiale Dei Mancini, organizzata dall’associazione “Lefthanders International” nel 1976, quando nacque l’idea di una ricorrenza che testimoniasse al mondo intero i disagi ed i vantaggi dell’essere mancini. E quindi lanciamo un motto: mancini di tutto il mondo unitevi nella diversità!

 

Rita De Angelis

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