Archivio di agosto 2009

Viterbo, 6 settembre 2009: papa Ratzinger benedice la città in elicottero e papamobile, Alfio Pannega resta nel casotto di lamiera sull’autostrada e Rita Sister Kaya che scrive

Ante Scriptum.

Dove c’era la comune di Valle Faul, con Alfio Pannega nella casetta del custode a far da giardiniere ed ortolano, il 6 settembre 2009 atterra il papa-elicottero e si svolge la funzione solenne con Angelus et Benedizione urbi et orbi. Esclusi dalla cerimonia gli ex occupanti dell’ex centro sociale, spediti tempo fa dal Comune di Viterbo in periferia. Nel frattempo nella  Valle di Faul le ruspe hanno spianato la collinetta per rendere degna accoglienza al papa Ratzinger… (vedi notizie più dettagliate su: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/08/04/viterbo-agosto-2009-alfio-pannega-senza-casa-lex-gazometro-di-valle-faul-larrivo-del-papa-ratzinger-le-ruspe-selvagge-la-memoria-cittadina-cancellata-e-linda-natalini-che-scrive/  )

Di seguito pubblico la lettera di Rita da Viterbo con gli ultimi ragguagli sul caso:(Paolo D’Arpini)

…………….

Salve a tutti, mi chiamo Rita e con questa mia lettera vorrei:

1. rispondere alla signora Linda Natalini, al Circolo Vegetariano di Calcata, al comune di Viterbo, a tutti coloro che continuano a tacere,

2. informare i cittadini di Viterbo in merito all’argomento: Alfio Pannega!

Sono venuta a conoscenza che tutt’ora Alfio stà nelle stesse condizioni in cui l’ho lasciato tempo fa (di questo me ne rammarico): in un capannone di lamiera costruito appositamente per creare l’autostrada e successivamente lasciato al degrado, in località Castel d’Asso insieme ai compagni di sempre del Centro Sociale Autogestito Valle Faul.

Il motivo per cui Alfio, da Valle Faul è andato a finire nella campagna viterbese lo sanno in pochi, il vociferare di tutti però, quotidiani compresi, è che Alfio ha lasciato Viterbo per il trasferimento del centro sociale dall’ex-gazometro di Valle Faul al capannone Cogema per una rivalutazione, risistemazione e riqualificazione dell’intera Valle di Faul; questa era la scusante comunale mentre la necessità era dovuta alla sola pulizia, ovvero all’ allontanamento delle figure che in qualche modo potevano ledere e ledono all’immagine cittadina!! Alfio ha deciso di sua spontanea volontà di lasciare l’abitazione che da + di 20 anni occupava ( ripeto + di 20 anni), sita subito dopo la porta di Valle Faul, e di recarsi a Castel d’Asso con i compagni del centro, sapendo di lasciare un’abitazione già da tempo fatiscente e inadatta alle sue condizioni e avendo mandato a quel paese l’”offerta” che il comune gli proponeva: quella di recarsi in un centro geriatrico, a vita!

Ebbene, in quanto persona che è stata per anni vicino ad Alfio e avendo cercato di aiutarlo il più possibile, posso dire che Alfio non merita tutto questo e soprattutto non merita questa indifferenza da parte del comune e relativi assistenti sociali, che a parole erano tutti pronti ad aiutarlo, a parlarne bene e a dire quanto ci tenessero a lui poi, visto la sua risposta alla proposta fatta, lo hanno abbandonato a sé stesso; so con certezza che i compagni del centro hanno fatto, stanno facendo e faranno il meglio per dare ad Alfio tutti gli agi che necessita una persona di 83 anni (tra poco 84) fatto stà che la noncuranza comunale in merito all’argomento è veramente inaccettabile; anche perché, come ripeto, Alfio ha occupato per + di 20 anni un’abitazione comunale, avendo così diritto di usucapione (vedi in merito http://it.wikipedia.org/wiki/Usucapione) su di essa.

Ma tutti tacciono e continuano a tacere! Io invece mi chiedo che cosa stiamo aspettando: che Alfio ci saluti? Stiamo aspettando che se ne vada per togliere il problema di torno una volta per tutte? E ora che è in arrivo il Papa come si fa? Tutto apparecchiato bene, lustri e lustrini alle pareti e Alfio rintanato a 3 km da Viterbo, in mezza campagna, dove nessuno di importante può vederlo e/o sentirlo! 

Invece da qui scatta la mia provocazione che è quella di riempire forum, blog e siti di questa mia mail al fine di trovare un’adeguata soluzione! E se Alfio non vuole andare in una casa lontana dai suoi compagni e dal centro sociale che sia la casa ad andare da lui! Non si sta chiedendo poi tanto, no?!?!? E nella speranza che ogni persona possa usufruire dei proprio diritti, ringrazio per l’attenzione e porgo cordiali saluti. Contatti: sisterkaya@libero.it

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“Giappone come pezzo di vita e di mondo che appartiene all’uomo” – Esperienze di viaggio di Laura Lucibello

Caro Paolo, quando mi hai chiesto di raccontarti qualcosa del viaggio in Giappone mi sono resa conto che mi venivano fuori solo banalità, da turista per caso.
Mi sono quindi interrogata su cosa in effetti ha lasciato dentro di me
un viaggio tutto sommato dispendioso in termini economici e di tempo.
Premetto che non era un viaggio da me particolarmente sentito e
voluto, la mia presenza era semplicemente “scontata” visto che si
trattava di una riunione di famiglia, con i ragazzi che da anni ormai
hanno la loro vita e viaggiano per conto loro.
Traendo però spunto da un articolo di Giancarlo Dotto (”Se hai
un’anima. Tokio è li per prendersela. Te la restituisce, un po’
stracciata, ma solo in prestito. Una volta che ci sei, lasciati
perderti. Che il piacere è proprio questo………. Tokio alimenta il
caos per esorcizzare il caos. Saluti, inchini, sorrisi, cerimoniali,
maschere, regole. Rituali maniacali per difendersi da quell’incidente
insostenibile che è l’imprevisto, ovvero la vita. Nulla a Tokio
somiglia a quello che tu, per tutta una vita, hai imparato a
riconoscere come il principio di realtà. Sospendi la logica, sospendi
te stesso, questa la chiave. Non devi farti domande, soprattutto non
devi darti risposte.”), posso affermare di condividere pienamente
quanto da lui scritto e fare mie le stesse sensazioni.

Il Giappone, e soprattutto Tokio, è un laboratorio sfrenato delle mode
e delle tendenze del futuro. Le nuove generazioni non credono più al
lavoro come dedizione e valore assoluto, hanno scoperto l’hic et nunc,
l’ebbrezza del qui e ora. Le ragazzine vestite in stile Barbie-sexi si
muovono in branco, esibizioniste, sembrano volerti dire “meglio
risultare eccessive piuttosto che confondersi nella mediocrità della
vita”, e qui anch’io sono caduta nella trappola dell’illusione
facendomi fotografare vestita da eroina dei manga giapponesi come
Sailor Moon, la ragazza combattente (vedi foto allegata).

Ma basta spostarsi nella piccola (si fa per dire) Kanazawa per
ritrovare l’atmosfera del Giappone, che conosciamo attraverso i
racconti, la storia, le pitture, che evoca la bellezza di antichi
rituali, il silenzio, la saggezza, la spiritualità, i giardini
incantati e perfetti, lo struggente amore di “Madame Butterfly”. Qui
il passato meglio si armonizza con il presente e con il futuro.
Ed è qui che ho trovato nel Museo del XXI secolo dell’Arte
Contemporanea una bellissima mostra “Cento storie sull’amore”.
Il 2009 è stato un anno che ha visto il tumulto di guerre tragiche, il
mondo attorno a noi sta cambiando velocemente e c’è bisogno di una
rinnovata ricerca di valori.

Valori che solo il senso di amore, per la vita, per il prossimo, per
la natura, possono contrastare l’apatia e l’indifferenza. Come disse
il filosofo giapponese Tanikawa Tetsuzo “Durante la nostra breve vita
abbiamo sempre scoperto nell’amore qualcosa in cui credere.”
Non posso raccontare e spiegare tutte le cento storie, anche se tutte
valide, semplicemente perché si tratta per lo più di installazioni e
filmati, rappresentanti denunce sociali – alienazione – isolamento -,
che andrebbero visti direttamente. Riporto quindi a rappresentanza
l’unica opera riproducibile. Questa che segue è una poesia musicata
stampata a grandi lettere su una parete (in giapponese con traduzione
inglese) di B-Bandj, classe 1972.

How we run from love
maybe one day we won’t have to run away / what are we so afraid of
everything we look at / everything we wont is in the music / we look
for it in the music / (it’s the air, it’s in the atmosphere) / but
somehow when we actually find it, we doubt it so we keep running away
from love / still we look for it’s beauty
we don’t learn how to love (we just remember it feels just like home
right over here / I think we don’t learn how to love, we just
remember/ love is like sun rays after the rain / maybe the rain will
finally fall on the desert one day you know? / even where it never
rains, hopefully there will be rain / it falls then you could call it
love / it depends on how you feel about it / love could be anelping
hand to those in need/ it could be when your house becomes a home/ I
feel right at home over here / I could be out in the street or in the
forest / if the vibration is good, then I might coll it love / I feel
right at home over there / I could be in Tsukuba / I could be in
Africa / I could be in Kanazawa /you tell me what is love / I’m
telling you what is love, you can tell me what is love /this is an
open dialogue / this is why I’m expressing myself hoping that you can
express yourself too / and it doesn’t have to be through conversation
/ we dont’t have to talk / we can listen to the rhythm rhythm …/
expressing you and happiness / I just feel so blessed enjoying the
atmosphere / you don’t have to say it’s spiritual / you don’t have to
say anything.

(Forse caro Paolo, se ti va, potresti tradurla per chi non conoscendo
l’inglese volesse assaporarla).

L’ultima città visitata è stata Kyoto, molto organizzata per un
turismo di massa. Ma anche qui siamo riusciti in parte a rimanere
fuori dal circolo vizioso dei classici percorsi prettamente turistici
andando a visitare l’antico e suggestivo Tempio di Inani, arroccato
sulla montagna, frequentato e conosciuto solo dai giapponesi, tant’è
che ci sono solo spiegazioni e indicazioni in lingua locale, ma se ti
perdi trovi sempre qualcuno molto cortese che anche se non conosce
neanche una parola di inglese riesce a farsi capire.

Mi accorgo solo ora che più scrivo, più si affacciano nella mente
aneddoti, racconti, considerazioni, incontri. Già incontri, me l’ha
fatto notare mia sorella quando ad un certo punto se ne è uscita
dicendo “bisognerebbe andare in vacanza con Laura, riesce sempre a
conoscere gente, a trovare un’amicizia”. E’ vero vado sempre cercando
il contatto con gli umani, in qualsiasi paese mi trovi. Ed infatti a
febbraio e marzo verrà a trovarci Masako, simpatica ragazza che sta
studiando l’italiano perché amante della nostra cultura, conosciuta in
un piccolo ristorante con cucina giapponese gestito da ragazzi, il più
vecchio, il bel boss, ha 32 anni.

E con questo termino il mio racconto, anche perchè si è fatta
mezzanotte e gli occhi cominciano ad urlare.

O-ia-su-mi na-sai (buonanotte), Laura Lucibello

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Rapporti umani: comprensioni ed incomprensioni sulla base delle caratteristiche psichiche incarnate – “Frequenze vibrazionali, pulsioni innate, meccanismi, etichette dei modi percettivi”

Spesso ho affermato che i diversi aspetti psichici da noi incarnati e le energie degli elementi che ci contraddistinguono formano una specie di “griglia” attraverso la quale noi riusciamo a percepire il mondo esterno e le situazioni sulla base della sintonia (od opposizione)  incontrata. Ove questa “griglia”,  il nostro modo percettivo,  non aderisce con le situazioni e le emozionalità diverse che ci giungono dagli altri automaticamente sentiamo una forma di repulsione. La nostra empatia ed antipatia  ed il genere dei rapporti che possono essere instaurati con le persone con le quali veniamo in contatto dipende solo dalla configurazione del filtro interiore delle predisposizioni innate. Ma, allo stesso tempo, la comprensione che ogni aspetto della psiche o dei colori delle energie (elementi)  dipende dal movimento nel caleidoscopio della mente di un qualcosa di indifferenziato che è alla radice della mente stessa, è importantissimo per riconoscere la comune matrice. I diversi aspetti nascono in seguito alla separazione primordiale,  Yin e Yang, e  dai movimenti consequenziali delle propensioni e dal raggruppamento in cantoni di accettazione e repulsione sulla base dello specifico aspetto da noi incarnato in cui ci riconosciamo. Le opposizioni sono però solo completamenti della stessa energia archetipale, per cui  le incomprensioni e comprensioni sono solo un “modus operandi” della mente ed un modo di riconoscere  le affinità o le differenze,   il fine della coscienza evoluta è comunque quello di riportare tutto all’unità.

Questa premessa per introdurre il testo di psicologia emozionale che segue (Paolo D’Arpini)

………………

Sperimentare la vita in un corpo materiale, rappresenta, per un essere umano, una continua possibilità di “apprendimento” e di evoluzione. La scelta delle esperienze, ovviamente, non è casuale: ci muoviamo ed agiamo spinti da “forze e pulsioni” che, nella loro complessa varietà di nomi e appellativi, non fanno altro che determinare il “movimento” nella nostra quotidianità. Il movimento rappresenta, sul piano dell’esistenza pura, l’incipit di ogni creazione, il “bisogno” fondamentale del principio ideatore stesso. Colui che è, in quanto tale, manifesta il suo essere nel movimento e nel conseguente continuo “fluire”, che, a sua volta, genera cambiamenti non immediatamente percepibili dal nostro umano sentire. Nei rapporti di vaio genere che tendiamo a “creare” in questo spazio-tempo scelto per l’esistenza nella quale trova dimora lo spirito che ci anima, spesso siamo soliti usare termini nei quali appare evidente il sentimento del “contrasto”, o per meglio dire, della “in-comprensione”. Io penso in un modo, lui o lei la pensano in tutt’altra maniera. Questo è un fenomeno semplice, molto semplice e complesso insieme. Viaggiamo su “frequenze vibrazionali” che non sempre si trovano in sintonia, una specie di “carrello” che, per alcuni è dotato di freni, per altri no! La direzione del carrello è la stessa, ma non la velocità e neanche l’energia impressa nelle ruote. La nostra singola percezione ci permette di intuire questo “meccanismo”, ma i “termini razionali” impressi nella nostra mente, creano la situazione del disagio, del pericolo e quindi assumono posizione di “difesa”, a volte con l’attacco,diretto verso chi la “pensa diversamente da noi”! In verità, invece, è solo una condizione come tante, uno “status” che sta “percorrendo la sua strada” al di fuori di ogni giudizio e di ogni “etichetta”. Riconoscere la “diversità” è un passaggio importante nella crescita personale, sul piano dell’apertura universale e della fiducia verso noi stessi; accogliere la nostra “percezione” è un atto d’umiltà che rende speciale la visione della Vita.

Antonella Pedicelli

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Dal circolo vegetariano di Calcata ecco a voi l’ennesimo comunicato… – Articoli su articoli… ma chi li legge ed in cosa risultano? Analisi sulla comunicazione mistificata nell’era di internet

Il 27 settembre 2009 è arrivata al Circolo la ragazza Diana, giunta apposta da Milano per conoscere me e la realtà del Circolo e di Calcata. La “colpa” di tanto interesse è ancora una volta la mole di leggende sorte sul luogo  e raccontate  sui vari siti  e su alcuni libri (non ultimo quello di Malatempora sulle Comuni, Comunità, Ecovillaggi d’Italia).  “Gutta cavat lapidem” dice l’adagio antico ed è verissimo…  giorno dopo giorno, anno dopo anno, a forza di scrivere su e da Calcata ormai la fama del luogo è insopprimibile… e che fama!  La prima cosa che Diana mi ha detto appena arrivata è stata: “Ma lo sai che l’autista dell’autobus appena ha saputo che venivo qui mi ha detto  -Ah vai a farti le canne a Calcata…-“. Insomma la diceria del paese alternativo colpisce ancora, le masse metropolitane credono che questo sia il luogo dell’amore libero e delle canne…

Com’è stato travisato e fuorviato il messaggio trascritto in migliaia di articoli… Che in essi  si parli di amore libero e di libertà espressiva  ed antiproibizionista è anche vero… ma andate un po’ a leggere il reale significato di queste parole nei numerosi testi da me inseriti  nel sito del Circolo, oppure riscoprite tutte le storie raccontate sui giornali dal 1978 ad  oggi sulla “verità” di questa libertà espressiva.  Si tratta di esperimenti in cui la licenza è totalmente assente… ma ciò non ostante diversi sderenati sono venuti qui, hanno occupato lo spazio e si sono esibiti nei loro vizi approfittando della discrezione a loro concessa….  Ed alla fine cosa resta… invece del messaggio  liberatorio dai condizionamenti  ecco che l’immaginifico su Calcata è macchiato da indesiderati condizionamenti.

La società della licenza e della stupidità cerca un suo sfogo e dove trova spazio libero fa diventare  la cultura “pettegolezzo” e il costume “pornografia”… e non solo  a Calcata… mi pare che  questo avvenga in tutto il mondo, tanto è il vuoto intellettuale lasciato dopo vent’anni di televisione e di internet…..  Eppure  continuo a scrivere e pure ad usare internet, che posso farci… sono malato di comunicazione.

Sicuramente la vecchia penna procurava meno guai, l’unico inconveniente essendo la fine  dell’inchiostro. Ricordo ancora come da bambino scrivessi con una penna di legno, intingendo il pennino dentro un calamaio, le dita sempre sporche d’inchiostro e spesso anche il foglio.

Poi cominciò il momento della penna stilografica anche questa però perdeva inchiostro da vari punti (dal pennino e dalle giunture), giunse la bic, la biro, ma anche con questa bisognava stare attenti al defluire dell’ inchiostro dal fondo e  dalla punta. Quando le penne iniziarono a scrivere senza perdere inchiostro avevo già finito di andare a scuola. Insomma pare che in ogni epoca la comunicazione abbia avuto i suoi problemi e questa corrente ha  le disinformazioni telematiche, lo spam ed i virus…

 Sembra che tutto sia lì lì in procinto di concludersi eppure manca sempre uno per far trentuno…. Manca sempre 1 o lo zero per arrivare a dieci….
Il mio numero d’ordine è il 9, l’ho scoperto nel 1950/51 in prima elementare allorché avendo imparato a memoria la lezione di religione, chiedevo di essere interrogato per prendere un bel 10, la cosa non funzionò giacché mi impappinai su una parola e presi 9. Ritornai al banco e  ripassai la lezione bene bene, ripetei a mente tutto e chiesi ancora di essere interrogato. Che disdetta, ancora una volta  mi impappinai e mi fu confermato il 9 di prima. Volli ancora riprovarci dopo aver ulteriormente ripassato il testo, sicuro stavolta di farcela, ma la maestra mi disse che non mi avrebbe più interrogato e mi lasciò il 9, con mio grande disappunto e frustrazione. 

Poi ancora sempre verso quegli anni venne a trovarci un giorno  mio zio Fausto, che distribuì a ciascun bambino, le mie sorelle e cuginetti ebbero 10 caramelle. Purtroppo quando venne il mio turno erano rimaste solo 9 caramelle e quelle ebbi da mio zio. le mie proteste servirono a poco egli  mi disse “le caramelle rimaste son queste e queste ti toccano”. Ricordo che quella volta ero proprio arrabbiato, scesi giù nel giardino condominiale e regalai tutte  le caramelle (meno una che mangiai subito…) ai bambini che  stavano lì, con loro grande gioia 

Ed ancora accadde qualcosa di simile quando andai per la prima volta in India, mi trovavo all’ashram di Muktananda, in uno stato di pieno zelo, in quei mesi sentivo la
forte presenza della Grazia del Guru, stavo vivendo momenti di grande enfasi spirituale. Avevo messo ‘in naftalina’ ogni altro desiderio dedicando tutte le mie attenzioni alla pratica spirituale. Un giorno fui preso da un ‘raptus’ di golosità ed acquistai al ‘chaishop’ (negozietto del tè) 10 monete di menta bianca, ne misi in bocca  subito una, con grande avidità, poi mi diressi verso la porta dell’ashram, appena entrato vidi Baba seduto lì all’ingresso ed improvvisamente mi ricordai della mia lotta per il 10. Una mentina era nella mia bocca, le altre 9 nella mia mano. Mi avvicinai al Guru pensando “fammi vedere tu che son 10”  e tesi la mano verso di lui, Baba aprì la sua e prese nel palmo le mentine, sorrideva, io mi girai di scatto e mi allontanai senza più voltarmi indietro né aspettare un’ipotetica risposta….

Insomma pare proprio che il 9 sia il mio numero, tra l’altro è anche il numero d’ordine  della Scimmia che dice: “Io sono l’esperta viaggiatrice del labirinto, il genio dell’alacrità, la maga dell’impossibile. Il mio cuore è colmo di potenti magie e sa gettare cento incantesimi. Io esisto per il mio piacere. Io sono la scimmia”.  Muktananda era nato scimmia di terra del 1908 ed io son nato scimmia di legno del 1944. 
Intanto nella memoria continuo a sfogliare pagine e pagine sulle iniziative del Circolo, come la festa del grande cocomero o l’ostello per animali erbivori o l’ampliamento del parco del Treja o l’istituzione dell’anagrafe canina o proposte sull’energia rinnovabile o gli scavi archeologici dell’agro falisco o l’alimentazione vegetariana o l’arte e la cultura locale ed internazionale o problemi d’inquinamento da traffico od analisi sociologiche su Calcata o storie sulla montagna sacra del Soratte o sul come dipingere annusando o sulla salvaguardia degli antichi mestieri o sulla
filosofia dell’uomo e sulla spiritualità laica…. Insomma su tutti quegli argomenti che sono riuscito a trasmettere, con fantasia e caparbietà su quasi tutti i giornali d’Italia, sulle agenzie di stampa, sulle reti televisive e radiofoniche… e qui su internet. Eppure cosa è rimasto? “Ah, Calcata… quel posto dell’amore libero e delle canne…

Paolo D’Arpini

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Calcata da Caravaggio a Kafka…. Il teatrino continua con Sodoma e Gomorra, Armageddon, Apocalisse e “volemose bene e annamo d’accordo…”

Nel corso degli anni vissuti a Calcata  ho goduto immensamente nello sviluppare forme  immaginarie di ciò che Calcata potesse rappresentare per ognuno di noi, nuovi venuti e vecchi abitanti del luogo. Ieri pomeriggio ad esempio mentre rientravo dal Tempio ho incontrato per la strada  Angela Marrone, una vecchia amica che vive a Calcata da parecchi anni e che con me ha condiviso molti momenti magici. Angela è un’artista  vecchio stile, pittrice, cantante, poetessa.. attrice… Sì con lei ho recitato in varie occasioni, sia al Circolo che in piazza… ed anche recentemente in “Tzuei Ning decapitato per errore”  (di cui potete vedere alcune immagini nella scansione foto del sito). Angela mi ha chiesto: “Ma è vero che te ne vuoi andare da Calcata?”

Ed io schernendomi… “Beh un amico mi aveva proposto una casetta in campagna… sai  Calcata per me è diventata una specie di Sodoma e Gomorra, le cattiverie non si contano più… ma  tu che ne sai di queste cose, tu vivi in un tuo mondo fantastico…”. Ed Angela: “Ma no, ma no, ti capisco,  sai che anch’io avevo provato ad andarmene..?  Ho preso la valigetta e sono andata a Frigolandia… dopo tre giorni sono scappata, poi avevo deciso di ritornare definitivamente a Napoli, ma dopo una settimana non ce l’ho fatta più…  mi guardavano come un aliena, né carne né pesce, e sì che sono nata lì. Poi ho tentato in altri posti ma alla fine ho capito che ovunque  sarei sempre stata un’estranea, perché ormai addosso ho il marchio “Calcata”,  ed eccomi qua di nuovo. Qui posso litigare, arrabbiarmi ma alla fine è tutto un teatro… noi, caro Paolo, siamo condannati a stare a Calcata…  a recitare qui la nostra parte in mezzo agli sderenati ed ai turisti… Il nostro messaggio è questo!”.   

Mi ha consolato parlare con Angela, in fondo è una donna saggia, com’è giusto che sia una Cinghialessa di Terra,  e mi sono anch’io riconciliato con il luogo. Un luogo che sarebbe piaciuto a Caravaggio … ed anche a Kafka. 

Questa storiella -per associazione di idee- mi ha ricordato dell’esperienza di un altro attore calcatese, uno che ci provò professionalmente. Pensate che si vendette la casa di Calcata ed anche un locale in cui oggi c’è il baretto di Giovanni, per finanziarsi un paio di spettacoli a Roma in cui egli recitava  da attore principale. Sperando di aver successo.  Gli organizzai anche un paio di recite al Circolo, in cantina, invitando critici e giornalisti…  Alla fine l’unico successo che ebbe fu quello –poco in verità- che potei offrirgli con una intervista che feci pubblicare  sulle pagine del glorioso Paese Sera (non chiedetemi l’anno sarà stato verso la metà del 1990).  Rileggendo il racconto mi sono accorto di quanto ci fosse del vero in quella storia,  in cui (come al solito) mi ero inventato una similitudine Caravaggesca per via di un mio desiderio di parlar male di un oste calcatese che un giorno mi aveva scacciato dalla sua bettola… (leggete sotto)… Infine Mauro dovette andarsene da Calcata, povero in canna, e finì  a recitar poesie ed insegnare recitazione in quel di Udine, dall’amico Sergio De Prophetis che lì gestisce un centro naturista (la Bioteca).

……………..
Mauro Cremonini ricorda i particolari degli avvenimenti che l’hanno ispirato
a mettere in scena alcune importanti pieces a Calcata. L’ispirazione ha
sempre una sua radice nella vita di ogni giorno di questo piccolo Centro
Mondiale che è Calcata. “Proprio vivendo qui – ha confidato Cremonini -ho
delineato alcuni dei miei personaggi. La cosa iniziò quando decisi di andare
in scena con “La vita del Caravaggio, emblematica figura che sconvolse i
canoni artistici del suo tempo rivoluzionando la pittura del ‘600. Una notte
mi trovavo all’ingresso del Borgo e intravidi nel buio un paio di uomini che
scendevano dalla Bocchetta.

Nel buio erano irriconoscibili, le voci impastate dall’alcool. 

Avvicinatomi riconobbi due abitanti del paese, uno
era un oste con il fiasco in mano e l’altro un avventore che si trascinava
alticcio, andavano a finire la serata chissà dove. A quel punto, un po’ per
l’atmosfera antica un po’ per il loro vociferare convulso, mi venne in mente
la Roma del ‘600, che non doveva certo essere dissimile da questa scena di
Calcata. Da qui  l’ispirazione a recitare Caravaggio che, avvezzo com’era a
girar per bettole miserabili, avrebbe senz’altro individuato in quei due gli
“sgherri” da collocare nella crocifissione di Pietro o i “fustigatori” del
Cristo alla colonna. Per i due beoni non erano certo trascorsi secoli e
questa “finestra temporale” mi aveva apertogli occhi sul misterioso mondo
del Caravaggio”. Cremonini decise così di emettere in scena “La vita del
Caravaggio”; la cosa avvenne a San Luigi dei Francesi, a Roma, due anni fa.
Ma l’esperienza potrà essere ripetuta anche qui a Calcata. C’è comunque
un’altra esperienza che convinse Cremonini, ad interpretare un altro
emblematico personaggio.

Si tratta del custode dell’opera kafkiana “Il custode del sepolcro”.

Da Caravaggio a Kafka il passo è breve -ha spiegato
ancora Mauro- giacché l’inquietudine descritta dal pittore con i
pennelli e dallo scrittore con i suoi scritti è una tematica antichissima e
facilmente riconoscibile in un piccolo paese come Calcata, simbolo di un
mondo eterogeneo e cosmopolita. La storia dì Calcata, misteriosa e piena di
colpi di scena, distruzioni, invasioni, lunghi periodi di isolamento, è
molto vicina allo spirito de “Il custode del sepolcro”. La storia ruota
attorno alla figura di un anziano personaggio, da me interpretato, che viene
incaricato dal principe di proteggere e custodire il sepolcro dei suoi
antenati. È il dramma di un testimone scomodo che sorveglia la soglia tra
l’umano ed il trascendente. Franz Kafka demiurgo di un mondo luciferino ci
ha consegnato questo personaggio: l’ideale guardiano che è dentro di noi.

Paolo D’Arpini

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