“Un quieto orrore” – Esperienze di vita vegetariana e non violenta narrate da Mariagrazia Pelaia della Rete Bioregionale Italiana

Un colpo secco. Poi un altro. Un tuffo al cuore mentre sto ancora dormendo, nell’ora in cui la notte e il giorno sono uniti in un abbraccio indistinto. Quei colpi sono la sveglia mattutina: segnalano che per me inizia un’altra giornata, mentre finisce quella di qualche gentile creatura alata o con la coda, impallinata dai cacciatori fuori dal paese.

Inesorabili, ogni mattina sfruttabile del calendario venatorio mi traggono dal sonno e mi riempiono di pensieri sulla stupida spietatezza del mondo…

Allora cerco di aiutare quei poveri animali, disturbati nell’affannosa ricerca di cibo e di vita, inviando a un’invisibile divinità in ascolto le mie preghiere: “Tornatevene a casa, a fare cose più serie! O Madre terra proteggi i poveri animali che capitano a tiro a questi freddi cecchini!

Che vergogna, mentre i supermercati sono pieni di animali morti in attesa di qualcuno che li compri e dia un senso al loro sacrificio! Ma Stefano mi ha raccontato che Latouche ieri a una conferenza alla Sapienza ha riferito che il trenta per cento della carne sul mercato viene buttata via, sia per ragioni di scadenza, sia per semplice capriccio di spreco…”.

Silenzio. Forse la telepatia dissuasiva sta funzionando. Mi riappisolo con un solo occhio. Pum! Un altro colpo… e poi altri quattro, cinque, dieci, che salgono alla rinfusa dalla valle fino al mio letto… E ad ognuno invio il messaggio augurale che le vittime designate siano riuscite a sfuggire ai loro ridicoli carnefici con calosce e tute mimetiche, che si espongono a ogni intemperie pur di dare sfogo a una diabolica libidine.

Allora riprendo: “Ma nessuno vi ha detto che ‘la caccia è un affare di morte che genera morte’? Così raccontava uno stregone africano che era un cacciatore provetto, ma quando di sedici figli gliene erano rimasti solo cinque o sei si rese conto che stava pagando un debito ben salato al mondo selvatico! Ha smesso di andare a caccia, decidendo di espiare con il servizio sacerdotale. Ma figurati se questi bifolchi hanno mai letto Il dio d’acqua di Marcel Griaule… O Dea natura fagli venire voglia di tornarsene a casa a dare una mano a chi lavora per il sostentamento delle loro famiglie… e che spendano i soldi per cose importanti e non per passatempi da becchini! Eppure in Italia c’è la legge 626 che non ammette la libera strafottenza con le armi al collo e in casa… gli incidenti di caccia sono in proporzione più alti di quelli sul lavoro…”.

Forse stavolta ce l’ho fatta… non si sente più nulla, un silenzio carico di apprensione… Rientra in casa Cirino e dopo la lauta colazione di croccantini eccolo adagiarsi con le zampette sui miei polpacci… “Beh, almeno tu sei al sicuro dalla furia omicida di questa specie subumana”. E Cirino risponde con tenere fusa… “Anche tu sei un cacciatore, ma non certo così spietato come quei signori là fuori, che hanno le dispense piene di cibo”.

Per fortuna ci sono gruppi di giovani che praticano il disturbo venatorio, hanno davvero un grande coraggio ad andare disarmati a passeggiare fra tante doppiette fumanti, con grilletti che non chiedono altro che di essere abbassati… Seguo le loro imprese eroiche in rete. Sono una speranza per il nostro futuro.

Ancora un’oretta di sonno per cercare di cominciare in un altro modo la giornata, magari uscendo da un bel sogno. Poi la colazione pronta e fumante, i libri già aperti accanto a una fetta di torta di mesquite del seri, una farina sudamericana che mi ha portato il mio tesoro dal Salone del gusto, tutto sembra propiziare un momento di pace e tranquillità… Ma come una mitragliatrice inceppata ecco l’urlo meccanico del decespugliatore con cui depilano le rocce del centro storico… Saluto per l’ultima volta le incaute erbette che fanno capoccella dai muri del vicolo all’altezza del selciato. C’è un piccolo ciuffo d’erba isolato su un muro nudo, lo guardo e penso: ‘Vuoi vedere che si portano via anche te?’. Detto, fatto. Ecco le implacabili lame rotanti…

Ma almeno voi avete delle radici ben custodite nella roccia e non ci metterete troppo a riemergere, più verdi e lucenti di prima.

Non c’è male per una tranquilla giornata infrasettimanale in un borgo sonnolento della Sabina. Tutti sembrano posseduti dallo stesso demone: snidare la vita e farla fuori, con grande dispiego di mezzi tecnologici efficienti, che dietro di loro lasciano una desolata scia di vuoto e morte…

Ora accendo la radio pur sapendo che corro un grande rischio a collegarmi così direttamente al Mondo… e infatti, eccoti subito la grande notizia che per testare chissà quale molecola dello spermatozoo sono i poveri topi a doversi sobbarcare l’ingrato compito per noi. Queste sono le liete novelle diffuse da Radio3 Scienza…

Gli animali sono come gli schiavi ai tempi dei romani, sbeffeggiati e sviliti di default: un quieto orrore in cui siamo immersi senza rendercene conto… i miei vicini hanno pezzi di cadaveri di animali nel frigo e magari intere famiglie spezzettate nei congelatori, e mi sale alla memoria l’immagine del dirimpettaio che torna dal suo “lavoro” con la borsa termica piena di pesci morti… cadaveri invenduti.

Poi mascherati dagli intingoli questi corpi, che grazie al gelo hanno interrotto il processo di naturale decomposizione, si distendono sui nostri piatti disegnando figure che magari richiamano scene della loro vita troncata. Ma noi non le distinguiamo, ingurgitandoli indifferenti.

Poi ci commuoviamo se ci presentano le loro vite in un film o in un documentario… Nella realtà c’è chi per noi gli spara un colpo alla fronte al macello o li estrae a tradimento dall’acqua con una rete: killer industriali che in tram ci siedono a fianco, a volte con piccoli schizzi di sangue rimasti sui baveri o sull’orlo delle maniche, sfuggiti a una frettolosa abluzione. E poi un iter da catena di montaggio, per cui il corpo con zoccoli, corna e peli sparisce e fa posto a una massa gelatinosa rosea che finisce sotto i riflettori ai supermercati e sui tavolacci da dissezione dei macellai. Oppure viene strizzata e compressa negli insaccati come le nostre ave ottocentesche nelle stecche del busto…

Sono questi bravi padri di famiglia il mattone del nostro edificio sociale. Un condominio tenebroso, in cui la gente perbene vive ignara (in trance) accanto al lager in cui si straziano le vite di creature che hanno solo sbagliato la forma in cui nascere…

Alzo gli occhi dal computer alla finestra: su una delle canne che pianto nei vasi per proteggere il mio orticello di rucola dai mici di passaggio per i tetti si è appollaiato un passero: ha capito che sto scrivendo un messaggio agghiacciato in loro nome? Che meraviglia, si scrolla e becchetta per pochi secondi che mi paiono un delizioso infinito e poi frulla via… che tu possa sfuggire agli umani!

Il pomeriggio lo trascorro immersa nel lavoro al computer, speranzosa in un sereno epilogo della giornata: a sera mi aspetta infatti la solita cenetta vegan, preparata senza spargere una goccia di sangue animale.

Certo, i carnivori maligni a questo punto si chiedono se non ho pietà anche per le piante strappate e sacrificate. Naturalmente vi sono vari livelli di crudeltà da subire in ambito vegetale, il meglio è lasciare la pianta madre sana e salva dove si trova, raccogliendone soltanto i frutti, la parte cioè espressamente prodotta per il consumo alimentare, che altrimenti non utilizzata deperirebbe e rinsecchirebbe invano. Dunque, raccogliere rappresenta un salvataggio. Poi ci sono le erbe tagliate come vari tipi di verdura e insalate, le cui radici vengono lasciate a terra, e quindi continuano a vivere collettivamente (questa è una mentalità che sfugge alla forma mentis individualistica del carnivoro). E infine le piante a ciclo agricolo annuale che morirebbero anche se non prelevate per il nostro desco. Insomma, le piante sembrano suggerire che stanno lavorando per noi, e in parte per questo si sacrificano di buon grado. Dunque onore alla loro grandezza d’animo, anche per l’altra sostanza salvavita che preparano in continuazione per noi: l’ossigeno. Diversa cosa è strappare la vita a un animale che non è per nulla d’accordo e lo dimostra correndo via disperato quando si trova su una scia predatoria… che geme in modo straziante una volta ferito, e sanguina come noi…

Certo, gli animali da allevamento corrispondono agli schiavi che stranamente non si ribellano alla loro condizione e hanno in qualche modo interiorizzato la sudditanza al prepotente, una specie di trance ipnotica che continua a causare problemi psicosociali ai popoli di schiavi affrancati, come gli afroamericani e gli afrobrasiliani, o come le donne liberate da un millenario servaggio.

Sono a tavola finalmente a gustarmi due mandarini, un’insalata con le olive, gli spaghetti ai cinque cereali con foglie di puntarelle all’agro-piccante e un’insalata di patate e cipolle cotte sotto la cenere. È tutto colorato e gustoso, gioioso e invitante. Ho acceso la tv, di nuovo mi trovo in balia degli imprevedibili messaggi in arrivo dal Mondo che cerco il più possibile di tenere fuori dalla porta della mia vita: sto guardando “Anno zero”… ed ecco improvvisamente Celentano che canta su flash di famigerati reality show… non ci posso credere: i “naufraghi” devono superare una prova raccapricciante, bere sangue di vacca e mangiare un occhio di bue… Di nuovo sommersa da un quieto, domestico orrore… vado a dormire disgustata.

Si palpa con mano la sconsolante ricostruzione di Rifkin in Ecocidio: purtroppo viviamo nella cultura (?) del dio Bistecca, che sta portando alla desertificazione il pianeta e le nostre anime…

Mariagrazia Pelaia – Quaderni di Vita Bioregionale Solstizio Estivo 2009

mgpelaia at gmail.com

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