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Firenze, 28 e 29 aprile 2014 – Festival dei Semi, del Cibo e della Democrazia della Terra

Festival dei Semi, del Cibo e della Democrazia della Terra il 28 e 29 aprile 2014 a Firenze in Piazza SS Annunziata

Il Festival costituisce una tappa della “Carovana dei semi”, una manifestazione itinerante pensata da Vandana Shiva che porterà in Europa la voce di chi vuole un agricoltura libera da veleni e da OGM e a favore dei semi locali e delle biodiversità.

Perché la libertà dei semi?
Navdanya International è impegnata da anni nella “Campagna Globale per i semi della libertà” per sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi sull’importanza di difendere le sementi locali, un bene collettivo quindi libero da brevetti e monopoli.

Promosso da Seed Freedom, Navdanya International e La Fierucola, con il Patrocinio della Regione Toscana e di Banca Popolare Etica, è un evento aperto a tutte le associazioni e istituzioni che lavorano sui semi, sul cibo e per la democrazia della terra. Un programma pensato per tutti, dai bambini ai produttori e organizzato in collaborazione con: Rete Semi Rurali; Donne in Campo; Museo di Storia Naturale, sezione Orto Botanico di Firenze; Community Garden con Orti Dipinti; Peliti; Associazione Italiana per l’Agricoltura Biodinamica; Coordinamento Toscano Produttori Biologici; Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica; Rete dei mercati contadini; Associazione Permacoltura Firenze; AAM Terra Nuova; Biblioteca delle Oblate; Sportello Eco Equo con Orti Volanti e altre in v ia di adesione. Saranno inoltre presenti esponenti di altre associazioni europee tra cui Demeter, Red de Semillas, Arche Noah, Open House e altre in via di adesione.

La Carovana
Il 26 Aprile la comunità “Peliti” celebra in Grecia una giornata di Scambio delle varietà locali di Semi. Il 27 Aprile la Carovana parte dalla Grecia e sarà a Firenze il 28 e 29 aprile; il 30 farà tappa a Genova per l’incontro con Terra! Onlus e la visita agli orti comunitari della città per poi ripartire in direzione della Francia, dove dal 1° al 4 maggio si terranno le Giornate Internazionali dei Semi a cura di Kokopelli. La carovana è organizzata grazie alla collaborazione delle associazioni Peliti (Grecia), Seed Freedom Global Movement, Navdanya International e Kokopelli (Francia).

La Promessa dei bambini
Il Festival si apre all’Orto Botanico con la firma della “Promessa” tra i bambini e ragazzi e Vandana Shiva, insieme agli agricoltori custodi. La consegna alle giovani generazioni dei semi da parte degli agricoltori è un gesto simbolico che richiama le più antiche tradizioni di condivisione dei saperi.

Piazza SS. Annunziata, nel cuore di Firenze, è la sede del Festival con incontri, dibattiti, il mercato della Fierucola e della rete dei mercati contadini con vendita e scambio di semi autoprodotti, laboratori e musica.

Info: Navdanya International 055286552 – info@navdanyainternational.it
ufficio stampa: Sicrea, Maurizio Izzo 3483517722
Via De’ Pucci, 4 – 50122 Firenze – www.navdanyainternational.it

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Avaaz e la petizione deviata – Veri scopi della ONG più infida al mondo

Avaaz: cosa e chi si cela dietro questa cortina di fumo e questa “petizionite” acuta.

Su Avaaz avevo già sentito, ma non ricordo la data della messa in onda, da Radio Popolare, trasmissione “Alaska” le voci che corrono sul suo essere una organizzazione che, approfittando della buona fede dei militanti ecopacifisti occidentali ed asiatici, con la scusa di dover inoltrare petizioni sui temi più vari, in realtà schederebbe e invierebbe i dati alla Cia e organismi di intelligence simili ai fini di una schedatura di massa dei militanti stessi.

Già una buona pratica sarebbe quella di essere critici e diffidenti verso le petizioni in genere, forma di non lotta anzi di delega sic et simpliciter di qualsiasi lotta ad una firmetta che non costa nulla e ci salva la coscienza, coscienza ipocrita, ben nascosta e poco incline all’impegno diretto, in prima persona.

Già questo, solamente questo, sarebbe abbastanza per diffidare e tenersi alla larga da organizzazioni come Avaaz che , di fatto, sono raccoglitrici di una mole di informazioni enorme dato il suo agiresu scala planetaria e sui temi più vari: dalla scomparsa delle api alla questione climatica, dalla crisi mediorientale alla deforestazione dell’Amazzonia.
Ed invece Avaaz non è solamente questo, c’è ben di peggio, molto peggio.

Ricevo da Dominique Guillet, sono iscritto alla newsletter dell’associazione Kokopelli , passata agli onori della cronaca per esser stata condannata dalla Corte di giustizia europea sulla questione, vedi su “A” di novembre il mio “I semi della discordia” sulla faccenda , cruciale, del divieto o meno di commercializzare sementi non inscritte nel catalogo ufficiale, bene, Kokopelli ha diffidato Avaaz dal raccogliere firme, le ennesime, anche in merito a questo.

Primo perché queste petizioni non chiedevano nè dicevano né il vero né il giusto causando, a detta di Kokopelli stessa, disorientamento e smarrimento tra socie simpatizzanti, inoltre, Kokopelli è contraria a petizioni che, cito testualmente Dominique in un suo editoriale, “servono a grattarsi il posteriore” nell’originale, più cruda è l’ espressione.

Kokopelli ha però fatto di più, ha pubblicato una serie di dati un vero e proprio dossier con nomi, dati e date, connessioni tra dirigenti di Avaaz quali Tom Perriello, già deputato Usa al Congresso, consulente o dirigente presso organizzazioni come National Council of Churches of Christ, Catholics United e tutta una pletora di organizzazioni religiose nordamericane.

Si apprende che Tom Perriello nel maggio 2009 ha votato per il proseguimento della guerra in Afghanistan, c’è ancora Ricken Patel che è anche nella dirigenza della Rockefeller Foundation, della Bill Gates Foundation. Apprendiamo che Avaaz ha ricevuto centinaia di migliaia di dollari da George Soros, noto filantropo, si fa per dire.

Leggiamo anche, in questo dossier, dei bilanci milionari di Avaaz che annovera un centinaio di dipendenti in quel di San Francisco, ha potuto permettersi di pagare a Ricken Patel la bazzecola di 183.264 dollari all’anno, a Milena Berry e a suo marito la cifra di 245.182 dollari nel 2009 e di 294.000 dollari nel 2010.

Eppure, Avaaz chiede contributi ai suoi sostenitori, accampando scuse come attacchi informatici al suo sistema riesce a rastrellare agli ignari e poveri allocchi “petizionisti” altre centinaia di migliaia di dollari.

Ciò che preoccupa maggiormente di Avaaz e di associazioni e organismi simili come MoveOn è la loro intrinsecità, la loro perversa essere diretta emanazione econnessione con banche, gruppi finanziari e politici che sono, proprio essi, la causa diretta di conflitti planetari, del disseto ambientale rovinoso in atto.

Avaaz ha ricevuto sostegno finanziario ed è stata fondata da imprenditori e finanzieri internazionali inseriti in tutti i posti chiave dell’economia e della politica, dall’Australiano David Madden allo stesso succitato Soros, si tratta di personaggi, istituzioni, fondazioni che interagendo tra loro, costituiscono l’ossatura del capitale internazionale.

Ovvero, pur invitandovi a leggere l’intero dossier sul blog “Liberterre” possiamo concludere che Avaaz rappresenta il potere che “contesta se stesso” ovvero, con un termine caro al movimento del ‘77, “sussume” ogni possibile velleità rivoluzionaria, antiglobalizzatrice, diversa o in qualsivoglia modalità, alternativa al sistema vigente.

Occorre svegliarsi, se i militanti No Tav, per dirne una, si fossero limitati a firmare petizioni, magari proprio tramite la famigerata Avaaz, si sarebbero ritrovati con due Tav e tutti schedati, consegnati mani e piedi a chi di dovere.

Liberiamoci dalla petizionite, riprendiamo le nostre e comuni lotte sul territorio e pensiamoci tre volte prima di fornire i nostri dati a chicchessia ed in nome di chissà chi.

Teodoro Margarita

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Teodoro Margarita: “Il seme della vita… ed il seme della discordia” – Seed savers i nuovi banditi dal sistema

L’agricoltura, attività primaria, fonte basilare per l’approvigionamento alimentare dell’uomo, si fonda su alcuni elementi imprescinbili: la disponibilità di terra, l’abbondanza d’acqua, la conoscenza di buone tecniche agronomiche.

Veniamo all’ultima di queste condizioni, la conoscenza. Da tempo immemorabile, da quando il primo uomo o donna ha posto a dimora un seme ed ha appreso a curarlo, allevarlo, seguirlo fino ad ottenere la pianta voluta, le sementi sono sempre state riproducibili, esse sono state selezionate in base alle esigenze umane e, per fare un esempio, la vite che conosciamo noi, non è certamente la stessa che allignava, suo areale originario, sui monti del Caucaso ove si ritiene essa abbia suscitato l’interesse degli uomini per la prima volta.

E’ una semplice legge naturale quella della selezione, prendete, anche oggi, nel duemila, qualunque seme di infestante, per esempio il comunissimo amaranto, cominciate ad isolarne i semi, coltivatelo nell’orto, liberatelo dalle altre consorelle, non ci vorranno molte generazioni e vedrete che questo amaranto arriverà a produrre chicchi più grossi, diventerà sempre più imponente, certamente perderà quella rusticità che aveva l’amaranto selvatico che aveva quello preso in campagna, spontaneo.

Bene, applicate questo semplice meccanismo su vasta scala, prendete in considerazione popolazioni di contadini in ogni parte del mondo, distanti tra loro, operanti in ambienti alquanto differenti: tutto ciò nel corso di decine di migliaia di anni ha prodotto la biodiversità rurale.
Per semplificare: esistevano qualcosa come 12.000 varietà di riso e crescevano ed alimentavano popolazioni dalle sabbie desertiche alle ricche ed irrigue pianure asiatiche, ovvero esistevano varietà di riso asciutto, dai colori, fogge, dimensioni le più incredibilmente diverse.

Certo, se ci si reca in un negozio di prodotti macrobiotici o biologici si possono trovare rissi a chicco nero, rosso, con un pò di fortuna anche il cossiddetto “selvatico” ma dovete immaginare un’abbondanza infinitamente maggiore.

Agli inizi del Novecento, i ricercatori dell’Istituto Vavilov, San Pietroburgo, poi Leningrado, istituto intitolato giustamente a quell’insigne botanico che aveva percorso i continenti alla ricerca, raccolta e catalogazione di tutto il germoplasma esistente, e fino alla dissoluzione dell’Urss, hanno custodito, sopravvivendo persino all’assedio nazista, i ricercatori si lasciarono morire di fame pur di non intaccare quella meraviglia accumulata nelle loro celle, migliaia e migliaia di varietà di verse di ogni tipo di orticola, cereale, di ogni pianta utile per l’umanità, avevano accumulato una quantità di germoplasma imponente.

Questa biodiversità era dovuta ad una molteplicità di fattori, dal clima, alle tecniche colturali, alle tradizioni delle tante popolazioni di agricoltori presenti sul pianeta.

Come mai, oggigiorno, in tutto il pianeta, sempre per attenerci al riso, di varietà non ne esistono che poche centinaia e pure esse a rischio di estinzione?

E’ stata, principalmente, colpa della cossidetta “rivoluzione verde” ovvero dell’introduzione massiccia, in ogni angolo del globo, ovunque possibile, di una meccanizzazione totale, i trattori, le trebbiatrici, dappertutto o quasi hanno sostituito i buoi, i cavalli, gli asini.

L’introduzione massiccia di fertlizzanti chimici, l’agricoltura è passata in poche decine d’anni da attività di sussistenza o al più di scambio su piccola o media scala ad attività industriale. I sostenitori di questa modernizzazione, mentendo spudoratamente, sostengono che tutto questo abbia migliorato e aumentato le speranze di vita dell’umanità: certamente, di quella parte che quegli strumenti produceva e rivendeva.

Consiglio un libro molto interessante, almeno uno “Olocausti tardo vittoriani” e si leggerà, tra le altre cose, che il PIL di Calcutta, agli inizi del Settecento era superiore a quello di Londra.

Ovvero, l’imposizione della tecnologia occidentale, della agronomia europea in tutto il mondo ha provocato la distruzione, l’erosione dei suoli, l’impoverimento in consistenti parti del mondo. E questo è avvenuto, prima che vi ponessero rimedio, negli stessi paesi che questo sconvolgimento avevano causato ed esportato.

Negli anni ‘20, nelle pianure sconfinate dell’ovest americano, già terreno di pascolo per milioni di bisonti, sterminati al pari dei nativi americani, grazie all’adozione della coltura in linea di cereali a pedita d’occhio, le rese celebri dai romanzi di John Steinbeck, “dust bowls” le tempeste di sabbia che erosero milioni di ettari rendendoli aridi e desertificando aree di stati interi, i contadini americani, specie i piccoli conobbero fame e disperazione. Gli Americani cambiarono sistema di coltura, capirono che se la prateria era un habitat equilibrato, le graminacee, nutrimento per i bisonti, sradicate per far posto alla monocultura cerealicola, dovevano quantomeno praticare un sistema di rotazione per non impoverire il terreno e ripetere , alla prima tempesta, i disastri suddetti.

Renè Dumont, agronomo francese ha parlato nelle sue opere di questi ed altri sconvolgimenti soprattutto egli si è dedicato ai paesi francofoni, dall’Indocina all’Africa equatoriale: ovunque la “rivoluzione verde” ha prodotto sconquassi similari.

Il resto del mondo, politicamente soggetto, a quale dei due blocchi, capitalista o comunista non ha fatto nessuna differenza, è stato, ed è in parte ancora, solamente luogo di produzione massiccia di fibre, legname, cereali destinati all’alimntazione, all’industria del primo mondo.

E’ conosciuta abbastanza la distruzione totale delle foreste equatoriali per far posto alla monocultura della palma da olio in diverse aree del mondo, Indonesia, in primis.

E già qui saremmo ad un passo dal baratro: paesi che non hanno avuto autonomia politica hanno subito grazie a classi dirigenti comprate e corrotte un tanto al chilo, il depauperamento totale di pari passo con la perdita di ogni libertà anche della propria biodiversità originaria.
Non è finita qui, con la nascita delle biotecnologie, con la scoperta degli OGM, il quadro diventa fosco, il futuro alimentare dell’umanità, già precario, minaccia di saltare completamente.

Multinazionali come Syngenta, Novartis, Monsanto hanno cominciato a brevettare ed esportare in ogni parte del mondo, trovando resistenze di qualche peso in Europa, sementi che di quel processo di selezione naturale di cui parlavamo all’inizio, non hanno più nulla a che vedere: laddove per passare dall’uva del Caucaso ci abbiamo impiegato millenni, questi, in camice bianco, in pochi giorni, agendo sul Dna, combinando segmenti di organismi viventi anche diversi tra loro, per esempio, DNA del merluzzo nelle fragole e così bioingegnerizzando, manipolano tutto il manipolabile e sono arrivati a determinare in un campo pericoloso come il vivente quello che si fa con le automobili, per poterne vendere di più, hanno ideato l’obsolescenza programmata, ovvero, dopo un certo numero di anni queste, tac! si scassano e tocca comprarne un’altra.

Pazienza, uno può pure andare a piedi, questa tecnica applicata grazie alle possibiltà della bioingegneria alle semnti ha portato per dirne una, all’invenzione di cotone, di riso contenenti un gene, il famigerato “Terminator” che sterilizza il seme rendendolo irriproducibile.
Ecco, come si può leggere in Monoculture della mente, Vandana Shiva, che decine di migliaia di contadini indiani, stato del Karnataka, arrivano a suicidarsi in massa: la carestia, il mncato arrivo del monsone non avevano permesso a questi contadini in possesso di questi semi OGM il riacquisto della semente per l’annata successiva, per evitare che i debiti ricadano sui figli, il capofamiglia si toglie la vita… o passa alla guerriglia naxalita assaltando e distruggendo depositi Monsanto.
Il quadro, ancorchè parziale ma credo possa dare le dimensione planetarie della facenda, è questo.

Consideriamo che si è agito sul seme, fonte primaria di vita, culla stessa di ogni essere vivente senza nessuna cautela, prevedendo solamente il guadagno immediato, studiando a tavolino, seguendo le leggi della domanda e dell’offerta come per qualsiasi altro bene strategico, il petrolio o il carbone: meno ce n’è più costa, maggiore sarà il valore aggiunto.

Ora, piccoli Davide contro Golia, ma il paragone non regge, Davide aveva molte più possibilità e Golia non controllava, come queste multinazionali, governi interi, catene editoriali al completo, come i “seedsavers” salvatori di semi, sono in lotta per preservare, ricercare, riprodurre quanto più possibile ed in ogni parte del mondo la biodiversità agricola originaria.

Impresa improba, nonostante i seedsavers negli Usa, pur divisi in due distinte associazioni, siano circa 50.000, in Europa molto meno, ciò che è stato salvato è nulla rispetto a quanto si è estinto per sempre, eppure… Eppure, è faccenda di questi ultimi tempi, una sentenza della Corte costituzionale europea, organismo UE, ha dato torto ad una associazione francese Kokopelli in causa da molti anni con una ditta sementiera, la Baumax Sas,

L’associazione Kokopelli attiva nella salvaguardia della biodiversità in vari paesi del mondo organizzando corsi di autoriproduzione delle sementi, di pratiche agricole sostenibili, che destina molta parte della vendita di queste sementi rare a queste attività non profit ed alla fornitura gratuita di semi a contadini in varie parti del pianeta, si è vista condannata per frode commerciale sarà costretta a pagare e non è la prima volta che accade migliaia e migliaia di euro di ammenda, sempre che la reiterazione del reato non porti il suo presidente, Dominic Guillet direttamente nelle patrie galere per qualche annetto.

Davide contro Golia era, in confronto, uno scontro alla pari. L’implicazione di questa sentenza che sanziona la non commerciabilità di sementi non inscritte nel catalogo nazionale prevede che solamente le grosse ditte sementiere, e, dietro di loro, le multinazionali, potranno vendere sementi, tutto il lavoro di recupero della memoria storica, gli studi di etnobotanica, le infinite sfumature di colori, profumi e sapori della biodiversità originaria sono destinati alla sparizione.

I seedsavers saranno condannati al piccolo scambio, tutt’ora legale tra di loro: completamente ininfluente rispetto al mercato nelle mani dei manipolatori. In pratica si potrà ancora scambiare la semenza del grano Carusieddu del Cilento ma se un contadino me ne chiede qualche quintale io non posso venderglielo, è semplicemente pazzesco, cedere ad un amico una bustina di semi di pomodoro gigante di Lecco è ben altra cosa dal procurare mais “scaiola” per seminarne ettari, nessuno è così ricco da poterlo fare.

Questa sentenza mette fine alla biodiversità, certificando che solamente chi è in grado, pagando, di registrare le proprie sementi nel catalogo ufficiaile, potrà commercializzarle. Inoltre una varietà per essere inscritta in questo catalogo abbisogna di tante di quelle scartoffie e pratiche che , ad oggi, nessuna associazione di seedsavers è in grado di fare. gli enti pubblici, con poche eccezioni, latitano.

L’istituto Vavilov di San Pietroburgo è alla sfascio e da tanto. Restano, baluardi della bioversità, le banche del seme costruite alle isole Svalbard dalle stesse multinazionali che hanno rapinato e dilapidato germoplasma in tutto il mondo.

Come per l’acqua, bene primario insostibuile per l’umanità, così il seme deve restare bene comune, libero e riproducibile, esso deve essere libero da brevetti, occorre lottare e sancire l’intangibilità del vivente.

Diversamente saremo ancora più schiavi di quanto già non lo siamo: se è possibile vivere senza un Cd o senza un film, sui quali pesano i diritti degli autori, non è pensabile che sui semi s’impongano diritti e copyright della stessa natura, ciò equivale a condannare alla fame miliardi di persone.

Questo mio intervento, non oggettivo, io sono un seedsaver, un custode dei semi antichi, socio di Civiltà Contadina da oltre 10 anni e amico personale di Dominic Guillet, presidente di Kokopelli, intende continuare il dibattito, ho cercato di chiarire, di spiegare cose che semplici non sono, mi scuserete eventuali imprecisioni.

Teodoro Margarita

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Neapolitanum… buono come il basilico – Condimenti e profumi vegetariani…

“Tulsi leaves, the sacred basil offered to Sri Krishna…” (Saul Arpino)

Il basilico, è l’erba dei re…..

Il basilico erba mediterranea per eccellenza, pur se, molto probabilmente come tante altre essenze di provenienza orientale, deve il suo nome all’etimo “basileus” ovvero “re”, era infatti l’erba che i sovrani bizantini adoperavano per rafforzare la memoria, dunque il nostro basilico è l’erba regale per eccellenza.

Ma scendiamo dai troni maestosi verso il popolo e portiamoci a Napoli, parliamo della varietà napoletana di questa bellissima ed aromatica per eccellenza. Sulle altre, ve ne sono tantissime, in India ve ne sono anche di giganti, oltre a quelle conosciute anche in Occidente di rosse, ricce, greche a palla, genovese e tante ancora.

Per me è un ricordo che lego strettamente all’estate, quando con mia madre, nel cortile del mio paese nel salernitano assieme a tutto il vicinato si cuocevano nei grandi bidoni colmi d’acqua le bottiglie di pomodoro. Ancora adesso, nell’interno del Cilento vi sono paesini dove il negozio di generi alimentari può non vendere pelati in scatola: tutti ma proprio tutti preparano la salsa in proprio.

E il basilico, che c’entra? C’entra eccome, una bella foglia grande ed odorosa, non così forte come il genovese, più dolce, si infila , per ultimo, nella bottiglia che poi adeguatamente tappata si adagia delicatamente con le altre nel bidone a cuocere.

Ci vuole il basilico della varietà napoletana nel sugo, è quella giusta per aroma e dimensione della foglia abbastanza grande.

Un altro ricordo che ho del basilico è quello della preparazione del seme, la cernita della semenza: occorre prendere la piantina intera, secca completamente e con la mano intera dal basso verso l’alto dello stelo tirare e tutti i semi vengono via, ci si può anche graffiare, ma va fatto se non si vuole che i semi cadano e si disperdano per conto loro: in un clima temperato va anche bene, si troverà il basilico che spunta da solo alla primavera successiva, nei climi più freddi facilmente il gelo uccide i semi ed allora, ecco che occorre metterli da parte, io uso la carta del pane, all’asciutto e al buoi come tutti gli altri semi, del resto.

E’ la varietà napoletana che conosco meglio ma si possono trovare non difficilmente altre varietà: ci sono basilici al sentore di menta, di limone, ce ne sono di neutri, cercando nel sito di Kokopelli si possono richiedere basilici dalle dimensioni e forme le più strane. Io le ho provate ma non sempre, alla prova dei fatti, ovvero dell’uso che poi veramente, nel quotidiano poi facciamo di questa erba, non tutti sono adatti allo scopo precipuo che oggigiorno se ne fa, finiscono per prevalere i basilici napoletano e genovese, principalmente per il sugo e per il pesto. Credo che quello “limone” e quello “menta” siano più adatti per tisane, quello rosso e riccio credo che sia utile per donare un colore insolito alle insalate di riso così fresche durante l’estate. Il basilico è di facile coltivazione e si associa, quasi magicamente, proprio con le piante che nell’uso culinario gli si affiancano: viene benissimo intorno alle piantine di pomodoro, benissimo in mezzo alle insalate, lo si può intercalare praticamente dappertutto, è una specie che ama il caldo e sopporta, con un suolo ben ricco di humus anche periodi di siccità, meglio, data la dimensione delle piantine, non fargli mancare l’acqua, solamente dopo il tramonto, nelle giornate più torride.

Si possono affidare ai bambini dei semi di basilico data la facilità di germinazione e si possono avviare all’orticoltura così, il basilico è davvero la pianta più facile da coltivare e un balcone, un terrazzo, anche dei vasetti sul davanzale più minuscolo possono dare soddisfazioni inoltre il suo aroma tiene lontane le zanzare ed anche questo è un bene.

Per averne un pò di ogni varietà, personalmente, da diversi anni, coltivo insieme tutte mescolate tante essenze diverse di basilico: le coltivo vicine, le api hanno dato luogo a strani incroci e continuo ancora a riseminare mescolate queste specie, ho notato che alcune, come il basilico greco o a palla, rispuntano identiche alla primigenia, altre, mescolano i loro sentori. E’ molto interessante, non dovendo io preparare il pesto o, purtroppo non più, bottiglie di salsa di pomodoro, mi dedico a questo “esperimento”, invece se volete tenere la stessa semente pura è meglio che la coltiviate isolata dalle altre, il genovese e il napoletano si incrociano facilmente.

Cos’altro dirvi? A ciascuno il suo basilico e che non ve ne possa mai mancare.

Teodoro Margarita

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Teodoro Margarita: “Orti di guerra? No, nel nostro futuro solo Orti di Pace…. Dieci, cento, mille Orti di Pace, ed uno dedicato a Vittorio Arrigoni..”

Che cos’è un orto di pace e perchè per Vittorio Arrigoni? Ambedue queste espressioni “Un orto di pace” e “Per Vittorio Arrigoni” non godono di alcuna popolarità, dire “Il grande fratello” o “Campionato di calcio” riscuote,
immediata, intelligibilità.

Credo a ragione di rendere omaggio ad ambedue coniugando queste espressioni insieme. Gli orti di pace rimandano alla memoria gli orti di guerra, questi si, noti agli anziani, durante la guerra erano gli orti di emergenza, particelle di terra sorte ovunque anche nelle piazze principali di città come Londra o Milano per ricavare cavoli o grano per sfamare la popolazione.

Un orto di pace ha una funziona non dissimile: vuol nutrire chi lo coltiva. Tante, però, sono le differenze e non da poco se avete la pazienza di ascoltarle. Un vero orto di pace vuol coniugare salvaguardia di specie a rischio, quindi è sempre un orto di biodiversità, una vera arca di semi, un’oasi ove specie messe a rischio dallo strapotere delle multinazionali sementiere, sono null’altro che
multinazionali della chimica, trovano posto, un angolo per poter continuare ad esistere, viceversa, non resterebbe loro che strasene per chissà quanto tempo, nei frigoriferi delle grandi banche del seme, messe insieme dalle stesse multinazionali, alle isole Svalbard o anche in posti più lontani.

No, un orto di pace risuscita vecchie specie come il pomodoro datterino o il cetriolo limone e le fa vivere, impollinare dagli insetti, riprodurre, e, infine, perchè no? Consumare.

Un orto di pace vero nasce dalla colaborazione , ha fini di vero e proprio “Manifesto”, è un connubio di solidarietà, convergenza di tante energie, tende ad un fine che, come abbiamo visto, non è soltanto, come per gli orti di guerra, il puro e semplice nutrirsi.

Nell’orto di pace si narra una vicenda più complessa: è il caso degli orti, enumerati, associati, messi in rete da “www.ortidipace.org” e nascono nei posti più vari: dalle scuole agli istituti psichiatrici, alle carceri alle scuole.

Sono orti di pace, beninteso, anche gli orti di vicinato, i
“neighboroughgardens” di Londra o San Francisco, orti nati per procurare cibo a buon mercato a persone appartenenti a fasce più svantaggiate della società, poveri che la crisi anche negli Usa aumenta a dsimisura, organizzazioni come “Food not bombs” si occuipano egregiamente di questo.

Un orto di pace è contemporaneamente un orto didattico, un orto solidale, un’oasi di biodiversità. E’ un luogo allegro, un luogo allegro e insieme resistente, farne nascere uno richiede la collaborazione di decine di soggetti, facile a dirsi ma come curare un orto in una scuola quando alunni e insegnanti sono in vacanza? Un orto è un luogo di cura, per quanto piccolo esso sia, occorrerà sempre un minimo di mantenimento.

Quando tutti gli elementi di questo magico puzzle verde si incastrano alla perfezione: volontà, energie vive, costanza, amore, competenza, si ritrovano, può nascere, spuntare, in un angolo abbandonato, un vecchio giardino dismesso, o addirittura, una discarica, un’area accanto a un’autostrada o una ferrovia, un orto di pace.

Il “Manifesto degli orti di pace” elaborato dalla rete omonima racchiude tutte queste cose, tutte queste idee.
Eppure, un orto di pace può essere di più, andare ancora oltre e aggiungere altre buone, nobilissime cause da perseguire. Collaborare, stare insieme, aggregare e scanbiare conoscenze, buone pratiche sostenibili è già abbastanza, determina una rivoluzione grande, silenziosa, nel modo di vivere dell’homo occidentalis, che, altresì, somiglierebbe molto più a una macchina seriale che ad un essere senziente.

Che i bambini non sappiano da dove vengano i ravanelli o le galline o non conoscono che una o due sole varietà di pomodori o di mela, è terribilmente vero. Michelle Obama ha fatto una gran cosa nell’impugnare , sia pure
simbolicamente, una vanga alla Casa Bianca, per fortuna quell’orto sta continuando, spenti i flash dei fotografi. Noi, vogliamo andare ancora più lontano con il nostro “Orto di pace per Vittorio Arrigoni” .

Vittorio Arrigoni è morto a Gaza, brutalmente assassinato da salafiti, una sorta di ultrafondamentalisti islamici. Era lì in quella striscia assediata, dimenticata, un pezzo di territorio palestinese, un’enclave, un luogo di cui i media ufficiali parlano poco ed invece, la fame, la miseria, l’orrore quotidiano vissuto da qualche milione di esseri umani necessiterebbe ben altra attenzione.

Vittorio Arrigoni era a Gaza per far luce, per informare e per tener desta, o almeno tentava, di far luce su questa parte di Medio Oriente disgraziata. Vittorio Arrigoni faceva da scudo umano ai contadini palestinesi quando andavano a raccogliere le olive, faceva da scudo umano andando in barca, uscendo fuori in mare con i pescatori di Gaza: doveva far da scudo perchè contadini palestinesi e pescatori rischiavano la vita ogni volta in quanto oggetto del fuoco mirato, della fucileria dei soldati israeliani.

Negli orti di guerra di Gaza, nati per disperazione e necessità degli abitanti, Vittorio Arrigoni, e con lui gli attivisti dell’International Solidarity Movement, ci andava a permettere ai Palestinesi di poter coltivare, seminare, raccogliere. Prima di lui, Rachel Corrie era già morta, schiacciata da un bulldozer israeliano, nel tentativo di impedire lo sradicamento degli ulivi, fonte indispensabile per il sostentamento a Gaza e in Cisgiordania.

Un orto di pace per Vittorio Arrigoni si deve realizzare, i genitori sono concordi, perchè in questo orto, da realizzare nella sua terra, a Bulciago, nella Brianza lecchese, potranno continuare vivere le sue idee, che sono le idee di pace, di impegno in prima persona senza delega a chicchessia, potranno vivere contemporaneamente tutte le ragioni di un orto di pace e che abbiamo già provato a delineare.

In più c’è la possibilità, concreta, di riprodurre, qui, in piena tranquillità, le sementi più adatte ad essere spedite a Gaza, a quei contadini che Vittorio aveva a cuore, c’è la possibilità di sperimentare buone pratiche di
“giardino asciutto”, pratiche di orticoltura il più semplici possibili,
fondate sulle idee di Masanobu Fukuoka, un orto che sia sinergico, un orto circolare, un capolavoro di sobrietà nel consumo d’acqua, un orto che trovi in se stesso tutte le risorse necessarie.

Quest’orto, un piccolo laboratorio da poter “esportare” a Gaza, sia attraverso le sementi, riproducibili, forti, sia attraverso l’apprendimento di buone pratiche. Si partirebbe da un orto di pace intitolato a Vittorio Arrigoni per arrivare e qui è la lungimiranza del progetto, a realizzare, almeno, quanto è stato già realizzato e continua in Francia, qui, vicino a noi, da Kokopelli.

Kokopelli è una associazione di orticoltori che, in Francia ma in diverse parti del mondo, si occupa di ricercare, riprodurre, diffondere le sementi della tradizione agricola, quelle non seriali, non ibride, non OGM. Kokopelli ha propri laboratori in diverse parti del mondo, in Africa, in Asia, in America Latina ove esperto agricoltori, agronomi biologici e ricercatori volontari, lavorano per divulgare, estendere buone pratiche di colture econome di acqua, colture che si fondano solamente sull’uso di sostanze organiche del territorio per concimare.

Quello che in Italia occorre arrivare a realizzare è, soprattutto, la rete che Kokopelli ha in Francia costituto, ovvero, una rete di riproduttori di semenze che vengono, regolarmente, spedite nelle aree del modo ove le multinazionali, corrompendo, assoldando squadroni della morte, perseguitano i contadini ed impongono anche con la violenza, monocultura, OGM, allevamenti intensivi distruttori di ogni equilibrio ambientale.

Si, anche in Italia ci sono le energie per far decollare una rete di orti di pace simile. Potrebbero cominciare i seedsavers italiani, i custodi dei semi di Civiltà Contadina. Occorre parlarne, proporne la fattibiltà, lavorare a questo progetto. Perchè no partendo proprio da un orto di pace dedicato a Vittorio Arrigoni che per i contadini ha speso la sua vita?

E’ un appello, il mio, un appello da raccogliere, dieci, cento, mille orti di pace, siti di buone pratiche e di riproduzione di buoni semi. Luoghi di congiunzione tra nord e sud del mondo, orti ove l’egoismo sia un termine bandito e dove solidarietà, lavoro condiviso, amore per la terra, per tutta la Terra e per i suoi abitanti vada di pari passo. Per Vittorio Arrigoni, giovani come lui vanno ricordati solo con altri piccoli, grandi gesti di pace.

Un orto proprio pace richiede, e pazienza e attesa e fiducia. Che nascano dai nostri orti sementi di vita e vadano a nutrire coloro che per tante ragioni non possono nè scegliere cosa coltivare nè, semplicemente, neanche sperare di farlo. E penso ad antiche varietà di grano, di mais, a girasoli: facilmente si possono riprodurre e spedire a Gaza o ovunque esse siano necessarie queste semenze.

Penso anche alla rivoluzione silenziosa di mille mani che pacciamano, compostano, ed insegnano che lì, nella zolla comune è la speranza di affrancamento, il possibile riscatto di noialtri umani “terrestri”, non a caso…

Teodoro Margarita, insegnante

Socio di Civiltà Contadina e
Referente “Seed Saver” della Rete Bioregionale Italiana

Tel: 031 683431

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