ILVA, nuovo accordo con ArcelorMittal: “I veleni restano…”

Il governo sposta al 2025 il termine della messa a norma degli impianti. La Corte Costituzionale aveva di fatto “chiuso un occhio” sul primo decreto salva-ILVA contando sul fatto che il completamento dell’AIA sarebbe stato compiuto nel 2015. Oggi invece vengono tollerati ben dieci anni di ritardo.

Quali sono i punti più importanti dell’accordo firmato il 4 marzo 2020 fra ArcelorMittal e i Commissari dell’ILVA in Amministrazione Straordinaria?

PeaceLink ha potuto visionare l’istanza dei Commissari di ILVA spa in Amministrazione Straordinaria al Ministero dello Sviluppo Economico.

In tale istanza per l’autorizzazione alla sottoscrizione dell’accordo per la modifica del contratto di affitto con le società del Gruppo ArcelorMittal, i Commissari espongono i dettagli della nuova strategia per lo stabilimento siderurgico di Taranto.

L’accordo che sta per essere firmato fra Commissari e ArcelorMittal prevede una nuova società di investitori pubblici e privati, consentendo ad ArcelorMittal di andare via, qualora non firmi un accordo di investimento entro il 30 novembre 2020.

Il nuovo contratto prevede la possibilità alle Affittuarie (ossia alle società del Gruppo ArcelorMittal) di recedere, qualora non si addivenga alla stipula di un accordo di investimento nel termine concordato (30 novembre 2020). In tal caso è previsto per ArcelorMittal il pagamento di una “caparra penitenziale” parametrata all’ammontare totale dei canoni di affitto che le Affittuarie avrebbero dovuto corrispondere sino all’agosto 2023. Tale caparra penitenziale è stabilita in 500 milioni di euro.

Come si può notare l’exit strategy per ArcelorMittal è stata definita in quanto per andare via da Taranto la multinazionale deve solo rinunciare all’accordo di investimento per il nuovo piano industriale del nuovo quinquennio e che deve garantire investimenti fino al 2025.

E’ altamente probabile che ArcelorMittal non voglia più fare investimenti nel prossimo quinquennio sullo stabilimento di Taranto avendo perso circa sessanta milioni di euro al mese nel 2019, come ha riportato il Corriere della Sera Economia del 12 novembre 2019 che ha tra l’altro annotato: “Il risultato è che, per assurdo, oggi Arcelor perderebbe meno pagando i lavoratori per stare a casa”.

Nell’accordo che verrà firmato oggi ArcelorMittal si libera di questa zavorra insostenibile di perdite e lascia al governo il compito di trovare un improbabile sostituto. Cosa molto ardua se perdurano, come è prevedibile, le perdite di esercizio attuali e se le banche creditrici dell’ILVA chiederanno di rientrare in possesso dei propri crediti anziché convertirli in azioni di una nuova società destinata, lo pensano in molti, a fallire perché priva di mercato e strutturalmente malata di gigantismo (deve superare i 7 milioni di tonnellate/anno per produrre profitti e non perdite).

Che cosa accadrà se ArcelorMittal andrà via?
Il pagamento di una “caparra penitenziale” calcolata in 500 milioni non è infatti sufficiente né alle banche creditrici né a programmare un piano di investimenti quinquennale che dia sostanza al Piano Industriale.
La “caparra penitenziale” servirà a tirare a campare in malo modo, fra una fibrillazione e l’altra.
La “caparra penitenziale” di 500 milioni di euro che ArcelorMittal dovrà pagare per uscire dalle sabbie mobili di Taranto sarà appena sufficiente a pagare le perdite di esercizio del 2020.

Quindi, come si vede, la exit strategy di ArcelorMittal non risolverà i problemi ma è già stata tuttavia tracciata per evitare un contenzioso dagli esiti imprevedibili.

Leggendo ciò che i Commissari scrivono appare altamente improbabile che ArcelorMittal torni sui suoi passi nella prospettiva di impantanarsi in un contratto di acquisto quando invece ha già comunicato, con lettera datata 4 novembre 2019, di voler recedere dal Contratto di Affitto.

La prospettiva è che ArcelorMittal vada quindi via da Taranto pagando una penale da 500 milioni ma avendo nei suoi archivi piena contezza dei clienti dell’ILVA e dei prezzi praticati nei contratti, nonché dei costi di esercizio correlati, vantaggio strategico non indifferente essendo di fatto tali informazioni segreto industriale. ArcelorMittal potrà inviare ai clienti dello stabilimento di Taranto prevedibili vantaggiose offerte “con lo sconto” ed esse saranno altamente competitive, essendo Mittal in grado di produrre acciaio altrove a costi inferiori. Quello che è il portafoglio clienti ILVA è diventato nel 2019 il portafoglio clienti ArcelorMittal ed è irrealistico prevedere che un cliente ArcelorMittal ritorni cliente di un’azienda gestita di fatto dal governo italiano e percepita come sull’orlo del fallimento.

Quale vecchio cliente preferirebbe ordinare acciaio ai commissari del ministro pentastellato Patuanelli e non al ben più solido Mittal?

Solo chi si fa illusioni può pensare che l’accordo che verrà firmato oggi apra le strade ad un roseo futuro per i lavoratori di Taranto.

Viceversa oggi si ratifica il fallimento di un esperimento che avrebbe dovuto dare futuro e solidità allo stabilimento di Taranto.

Il governo tuttavia – nel suo tentativo di evitare l’implosione dell’ILVA – gioca la sua ultima carta, quella che potremmo definire la carta della disperazione: sposta al 2025 il termine della messa a norma degli impianti.

Sa infatti di non poter contare sulle risorse di ArcelorMittal per completare i lavori del Piano Ambientale che dovrebbe portare a termine le prescrizioni dell’AIA.
Ed ecco allora che l’accordo di oggi prefigura una nuova Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che sarà protratta fino al 2025. Già la proroga dell’AIA al 2023 aveva fatto scandalo, ma oggi si ingigantisce il problema di una proroga di tale durata per il completamento della messa a norma degli impianti. Tuttavia per non incorrere in una nuova censura, anche europea, per questa ennesima proroga ecco che nelle modifiche al contratto di affitto appare, accanto alla data del 2025, la prospettiva della “graduale decarbonizzazione” fra gli impegni della nuova AIA. La decarbonizzazione diventa così una sorta di “Aspettando Godot”.

E’ questa la parte più inquietante, dal nostro punto di vista. In tutto ciò che si può leggere fra le modifiche da apportare al contratto, spicca questo palese tentativo di spostare in avanti il termine dei lavori dell’AIA, ovviamente per mancanza di soldi. Spostare di altri due anni la data di messa a norma definitiva degli impianti è non solo inaccettabile ma grottesco.
L’accordo prevede tale proroga nonostante la VIIAS (Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario) certifichi la pericolosità degli impianti in funzione che causano un rischio sanitario “non accettabile” agli attuali livelli produttivi di 4,7 milioni di tonnellate/anno di acciaio.
Come farà il governo a garantire un rischio sanitario accettabile prospettando un aumento della produzione da 4,7 a 8 milioni di tonnellate/anno di acciaio?
Come farà il governo a dimostrare che da qui in poi non vi saranno vittime in questo prolungarsi del percorso di messa a norma degli impianti?
Uno stabilimento che doveva essere messo a norma nel 2015 ora scopriamo che lo diventerà nel 2025.
La Corte Costituzionale aveva di fatto “chiuso un occhio” sul primo decreto salva-ILVA contando sul fatto che i lavori di messa a norma sarebbero stati rapidissimi. Quello che sta avvenendo è invece l’esatto contrario: ben dieci anni di ritardo vengono previsti!
Quante vittime lascerà sul campo un ritardo di questa portata?
E’ questo il passaggio più inquietante dell’intero documento che ha ricevuto il via libera dal governo e che oggi verrà illustrato alla stampa come l’avvio per il Green New Deal di Taranto.
Il governo usa la parola “green” ma il futuro di Taranto è nero.
Nel piano per il futuro dello stabilimento siderurgico di Taranto si legge che “la nuova AIA dovrà includere, inter alia, un parere favorevole di compatibilità ambientale e, ove richiesto, un parere favorevole di compatibilità sanitaria oppure l’esito positivo di una procedura di valutazione del danno sanitario”. Ma, e qui i dettagli sono essenziali, il testo precisa “ove richiesto”. Poiché oggi la legge non richiede una valutazione del danno sanitario (come a suo tempo prevista dalla Regione Puglia) ecco che siamo di fronte a due parole (”ove richiesto”) che potranno neutralizzare e vanificare ogni ostentata intenzione di rendere compatibile le emissioni cancerogene, genotossiche e neurotossiche dell’ILVA con la salute.

PeaceLink si opporrà in ogni sede a questo piano nefasto che contrasta con il diritto alla salute e alla vita e che, ancora una volta, viola i diritti umani di un’intera popolazione.

Alessandro Marescotti, Presidente di PeaceLink


https://www.peacelink.it/ecologia/a/47355.html

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