La natura della luce… secondo Paola Turrini

Se volessimo rispondere enciclopedicamente alla domanda “che cos’è la luce?” diremmo che col termine luce si indica l’ente fisico cui è dovuta l’eccitazione nell’occhio delle sensazioni visive, cioè la possibilità, da parte dell’occhio, di vedere gli oggetti. Oppure definiremmo la luce come porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano, approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda, ossia tra 790 e 435 THZ di frequenza. Confronteremmo la teoria corpuscolare con quella ondulatoria, la teoria elettromagnetica con quella quantistica. Parleremmo di Newton e di Huygens, di Maxwell e di Einstein. Ma tutte queste cose appunto le possiamo ritrovare consultando un’enciclopedia o un manuale di scienze, che deve essere comunque dotato di una certa profondità.

La luce oltre a essere un fenomeno fisico di elevata importanza, è un ente altamente simbolico perché, come lo spazio e il tempo, determina il nostro esistere. Anzi, molto di più, essa rappresenta e si identifica con la Vita stessa. Sebbene meno fuggevole e astratta del tempo e dello spazio – la luce si può misurare e si può vedere – fin dall’antichità essa è stata associata al divino, proprio per le sue peculiari caratteristiche: la luce è ciò che garantisce la vita ed è ciò che illumina il cammino qui sulla Terra o verso la salvezza eterna, è la sintesi dei contrari in quanto contemporaneamente corporea e incorporea, materiale e spirituale.

La luce è dunque il simbolo universale della divinità, è quell’elemento che dopo il caos delle tenebre originarie, attraversa il Tutto dando ordine all’universo e ricacciando entro i suoi confini l’oscurità. La luce è un principio fondamentale delle antiche religioni come quella egizia, persiana e babilonese.
Nell’antica cultura egizia l’irradiarsi della luce accompagna la prima alba cosmica, segnata da una grande ninfea che esce dalle acque primordiali generando il sole. Sarà soprattutto questo astro a diventare il cuore stesso della teologia dell’Egitto faraonico, in particolare con le divinità solari Amon e Aton. Quest’ultimo dio, con Amenofis IV-Akhnaton (XIV sec. a. C.), diventerà il centro di una specie di riforma monoteistica, cantata dallo stesso faraone in uno splendido Inno ad Aton, il disco solare: tale riforma, però, passerà come una meteora di breve durata nel cielo del tradizionale politeismo solare egizio. Similmente la teologia indiana dei Rig-Veda considerava la divinità creatrice Prajapati come un suono primordiale che esplodeva in una miriade di luci, di creature, di armonie. Non per nulla, in un altro movimento religioso originatosi in quella stessa terra, il suo grande fondatore assumerà il titolo sacrale di Buddha, che significa appunto “l’Illuminato”. E, per giungere in epoche storiche più vicine a noi, anche l’Islam sceglierà la luce come simbolo teologico, tant’è vero che un’intera “sura” del Corano, la XXIV, sarà intitolata An-nûr, “la Luce”. Al suo interno un versetto sarà destinato a un enorme successo e ad un’intensa esegesi allegorica nella tradizione “sufi” (in particolare col pensatore mistico al-Ghazali nell’XI-XII sec.).
L’ascesa alla luce attraverso le tenebre è tipico delle dottrine iniziatiche. Nella Cabbala ebraica la luce originaria è incarnazione della divinità; nel cristianesimo il Redentore è “luce del mondo”.

La centralità della luce è tale che con essa si apre e si conclude la Bibbia. La luce è la prima delle cose create da Dio. “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu”, recita il Genesi. E nella pagina finale delle Sacre Scritture si legge: “Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce del sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli”.

Il potere creativo riconosciuto alla luce si traduce nel Medioevo con Roberto Grossatesta (1175-1253) nella cosiddetta Metafisica della Luce secondo la quale Dio crea un punto luminoso primordiale, che è la corporeità. Poiché la luce è per sua natura autodiffondente, questo punto originario si estende in tutte le direzioni dando luogo al mondo materiale.
Di conseguenza, l’ottica diventa fondamentale per la filosofia naturale in quanto, studiando la luce, possiamo comprendere l’origine e le strutture dell’universo. Diventando anche un mezzo per arrivare a Dio, in quanto la luce è l’essenza divina nella sua più perfetta espressione di chiarezza che illumina così ogni mente. In tal senso, la luce ha da sempre un significato positivo. Essa è ciò che ci apre letteralmente gli occhi davanti al mondo in quanto ci permette di conoscerlo. Se ritenete che tutto ciò sia il frutto di teoria ormai sorpassate, pensate a come oggi la scienza spiega l’origine del nostro mondo: tutto cominciò con un’immensa luce, una grande esplosione nota come Big Bang.
La luce rischiara il cammino della conoscenza. Quando troviamo qualche soluzione, ancor oggi diciamo di aver avuto un’ “idea brillante”, di essere stati “illuminati” o più modernamente che ci si è “accesa una lampadina”. E quando qualcuno nasce, non diciamo forse che è “venuto alla luce”?

IL CONSIGLIO FILOSOFICO: Emmanuel Lévinas definisce l’esistenza come caratterizzata da un sorprendente dualismo: la luce e l’indeterminatezza oscura. Da un lato c’è l’Essere come luce e visibilità in cui possiamo costituire gli oggetti, dall’altro c’è l’Essere come il tumulto oscuro in cui affondiamo. Luce e tenebra sono parti costitutive del nostro esistere. Anche l’oscurità è necessaria per far emergere la luce. L’importante è che non prenda mai il sopravvento.
L’antitesi luce-tenebre si trasforma in un paradigma morale e spirituale. È ciò che appare in molte culture e che ha un suo apice nel citato inno-prologo del Vangelo di Giovanni ove la luce del Verbo divino «splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (1,5). E più avanti, nello stesso quarto Vangelo, si legge: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che non la luce … Chi fa il male odia la luce e non viene alla luce … Chi fa la verità viene invece verso la luce» (Giovanni 3,19-21). Anche nella comunità giudaica attiva dal I sec. a. C. in avanti, scoperta a Qumran lungo le sponde occidentali del mar Morto, un testo descrive «la guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre», seguendo un modulo simbolico costante per definire il contrasto tra bene e male, tra eletti e reprobi. Questo dualismo si riflette anche nell’opposizione angeli-demoni o nei principi antitetici yang-yin, nelle divinità in lotta tra loro come il Marduk creatore e la Tiamat distruttrice le divinità delle cosmogonie babilonesi, o come Ormuzd (o Ahura Mazdah) e Ahriman della religione persiana mazdeista o come Deva e Ashura nel mondo indiano. La stessa dialettica acquista una nuova forma nell’orizzonte mistico, quando si introduce il tema della “notte oscura”, perlustrata da un grande autore mistico e poetico del Cinquecento spagnolo, san Giovanni della Croce. In questo caso il tormento, la prova e l’attesa della notte dello spirito è come un grembo fecondo che prelude alla generazione della luce della rivelazione e dell’incontro con Dio.
Agostino (354-430), più noto come Sant’Agostino, vescovo d’Ippona, Padre della Chiesa, sul cui pensiero si fonda gran parte della teologia cristiana, interpreta in modo del tutto originale il primato della luce.

Per Agostino Cristo (Logos) è vera luce di conoscenza, vita e salvezza. La vita di Cristo è luce per gli uomini, la cui illuminazione permette loro la partecipazione al Logos. La luce diventa carne in Gesù che è così il mediatore tra Dio e il mondo creato. La vita data nella creazione è luce, per cui il nostro mondo non è contrario a Dio, non è tenebra che va posta nella luce. Illuminare non significa porre nella luce, ma riempire di luce. Ciò che importa non è che si sia nella luce ma che si abbia dentro di sé la luce. Agostino elabora una teoria dell’illuminazione, che ha grande influenza nel medioevo, secondo la quale l’uomo non conosce in quanto diviene luce, poiché egli è già luce, ma in quanto scorge la luce più alta. Quest’ultima non proviene da lui ma da Dio che lo illumina e gli si mostra.

Qui si mostra il legame tra Agostino e il Platone del mito della caverna, a cui il Vescovo si richiama apertamente (Soliloquia). Per entrambi la luce del sole intelligibile ha il carattere della trascendentalità e solo attraverso una conversione dello sguardo, nell’interiorità per il primo, verso la luce fuori dalla caverna per il secondo, è possibile averne conoscenza. Per entrambi l’esistenza umana non si svolge nella cieca tenebra, ma partecipa sempre in qualche modo della luce, anche quando si è nell’errore. Per Agostino l’uomo che vive e si muove è già nella luce; per Platone perfino i prigionieri nella caverna beneficiano della luce di quel fuoco che è posto alle loro spalle, la caverna è sempre aperta alla luce. D’altro canto, se gli uomini non fossero fondati nella luce, non potrebbero nemmeno girare la testa per compiere il cammino di ricerca verso quella luce che fa vedere tutto. Ma il nostro mondo non è quello della pura luce, ma quello del compromesso, della penombra.

C’è però una differenza fondamentale tra il Vescovo d’Ippona e il filosofo ateniese. Per il primo, la luce totalizzante può essere solo intuita e mai vista in sé. Siamo nella luce, nati per la luce, ma di lei possiamo ricevere solo un riflesso, in quanto creature finite, non possiamo comprendere la Luce eterna, incorruttibile e infinita di Dio. Invece, per Platone il percorso di ascesi si conclude con la visione penetrante del Sole intelligibile, con la comprensione vera e propria del Sole che è un vedere dentro l’Idea. L’uomo platonico può arrivare alla visione della condizione di possibilità di ogni vedere. Una volta giunto alla conoscenza del Bene non vi rinuncerà mai più, nemmeno quando, ritornando nella caverna, cioè nel mondo sensibile, a rischio della vita, i suoi occhi dovranno riabituarsi al buio. Invece, in Agostino l’intuizione della luce non protegge l’uomo da eventuali ricadute. Questo perché non si ha una comprensione totale della luce.

CONSIGLIO FILOSOFICO: La conoscenza, quella vera, non è mai semplice. Le cose più belle della vita implicano sempre il sacrificio. Avete mai ottenuto dei risultati soddisfacenti, in qualsiasi ambito, senza aver faticato? Non credo. Bisogna comprendere che dobbiamo far accadere le cose e non aspettare che la ruota della Fortuna giri a nostro favore perché difficilmente accadrà. Tutto si gioca nelle nostre mani ed è questo che rende interessante la vita. Vi siete mai chiesti perché quando nasce un bambino si dice che è venuto alla luce? Questa espressione deriva da una simbologia ancestrale legata alla luce che risale agli antichissimi culti egizi, mesopotamici e iranici. Poi ereditata dalle tre grandi religioni monoteiste.

Tutto, cioè l’intero universo, ha inizio con la luce. La luce è ciò mediante cui Dio, il giorno eterno, crea il cosmo e si manifesta nel giorno sensibile determinato dal Sole. Lo stretto legame tra luce, giorno e Dio si riflette anche nel linguaggio. In latino deus, di-es, di-vus costituiscono una famiglia semantica a partire da un’unica radice indoeuropea, dei-, che significa splendente, luminoso, che è la medesima che accomuna l’italiano Dio, il latino deus, il greco theos e il sanscrito dyaus.
Nella Bibbia la luce è la prima delle cose create. “Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu” (Gen, 1,3). Nel Genesi scopriamo anche che: “Dio chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno” (Gen, 1,5). La luce è associata al giorno e l’alternarsi di giorno e notte costituisce il ritmo ordinato del tempo e l’ordine fondamentale del mondo dove è sancita la superiorità della luce rispetto alle tenebre, poiché l’essere stesso delle cose si manifesta come una chiamata alla luce. La vita è un’entrata nello spazio illimitato del vedere che è sempre aperto prima di noi e per noi. Il legame tra luce e vita è espresso nel Vecchio Testamento con espressioni come “luce della vita” e “luce del vivente” che richiamano all’idea che Dio libera dal pericolo della morte. Al contrario chi è morto non vede la luce e gli inferi sono descritti come “terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di oscurità e di disordine, dove la luce è come le tenebre” (Gb, 10,21-22).

La luce, in opposizione alle tenebre, non solo è garante della vita ma in quanto fa vedere diventa l’immagine emblematica della verità che in greco è detta aletheia, il disvelato, il non-nascosto. E l’occhio che guarda è “la lampada del corpo”. L’occhio è ciò che permette che ci sia luce nella persona ed è ciò che rende possibile il rapporto con la realtà. A seconda del suo sguardo, la relazione col mondo e con gli altri può essere semplice, ossia limpida e retta, oppure cattiva, ossia piena di invidia e malizia. È lo sguardo, è l’occhio che definisce l’intenzionalità del soggetto sul mondo e ciò si riflette sull’intera vita che può essere luminosa o tenebrosa.

IL CONSIGLIO FILOSOFICO: la luce è un dono divino e quando l’uomo la possiede diviene “un dio de la terra”, direbbe Giordano Bruno. Il punto è che non dobbiamo mai dimenticare la sua origine, altrimenti si scatena inesorabilmente l’ira degli dei. Proprio come quando Prometeo ha rubato loro il fuoco, legame tra cielo e terra, per donarlo agli uomini. La luce deve guidare i nostri passi altrimenti siamo condannati al disordine, ma non possiamo pretendere l’onnipotenza tramite essa. La luce pura acceca. Non dobbiamo mai dimenticare che noi siamo fatti d’ombra. La vita, i giorni ci sono donati, non li possediamo.

SANTA LUCIA
Il 13 dicembre si celebra la memoria di Santa Lucia (il 7 dicembre era Sant’Ambrogio), morta martire proprio il 13 dicembre 304 sotto Diocleziano. La più antica testimonianza del suo culto risale al IV secolo, si tratta di un’epigrafe ritrovata nelle catacombe di Siracusa, città natale della Santa. In breve tempo la venerazione per la martire si diffonde e oggi si trovano reliquie di Lucia e opere a lei ispirate in varie parti del mondo. Secondo la Passio leggendaria sarebbe stato il fidanzato a denunciarla in quanto cristiana. Per questo è condannata alla prostituzione, ma riesce a sfuggire a questa terribile punizione. Uscita incolume dal rogo, sarebbe stata uccisa con la spada. Per la tradizione popolare, Lucia amava molto i bambini e spesso assisteva i bimbi cristiani che soffrivano la fame e il freddo, portando loro dolci e vestiti. Per questo motivo ancora oggi in molte Regioni d’Italia e in altri Paesi del mondo, Santa Lucia porta i regali ai bambini. Priva di fondamento è anche la credenza che le siano stati strappati gli occhi. Una leggenda nata dalla devozione popolare, a causa del nome della Santa, Lucia, dal latino lux, ossia luce. In conseguenza di questa tradizione viene spesso raffigurata con l’emblema degli occhi sul piatto o nella tazza. Ed è invocata da chi ha problemi agli occhi (Santa Lucia ti protegga la vista). È quindi protettrice dei ciechi, degli elettricisti e degli oculisti. La relazione tra la martire e la luce si riflette in senso lato anche nella credenza espressa dal detto: “Santa Lucia il giorno più breve che ci sia”. In realtà, come è noto il giorno più corto dell’anno coincide con il solstizio d’inverno che cade intorno al 21 dicembre. In ogni caso, secondo alcuni si può considerare veritiero il proverbio se s’intende “il giorno più corto” come il giorno in cui il Sole tramonta prima (e magari potrebbe sorgere una Superluna). È comunque interessante notare che altre tradizioni celebrano la luce nei giorni vicini al solstizio d’inverno, come la festa ebraica di Hanukkah o quella indiana di Dipavali. Dante nella Divina Commedia identifica Santa Lucia con l’allegoria della Grazia illuminante.

LA METAFISICA DELLA LUCE
In ambito filosofico, la luce, anche prima dell’avvento del Cristianesimo, è considerata come un principio divino, razionale, è ciò che dà ordine al Tutto. La luce partecipa in qualche modo della corporeità, ma per il suo essere quasi impalpabile è simile allo spirito, per questo diviene la via di comunicazione tra ciò che è eterno e ciò che è temporale. Nel famoso mito di Er, contenuto nel X libro della Repubblica di Platone, le anime prima di conoscere il loro destino si raccolgono in una radura dove una lunga colonna di luce attraversa tutto il cielo fino alla Terra: “Era questa luce a tenere avvinto il cielo e, […] a tenere insieme tutta la circonferenza”. La luce dunque diviene il legame che fa del mondo un cosmo, è ciò che lo rende simile al mondo eterno delle Idee, perché in qualche modo partecipa di tale eternità. Sempre nella Repubblica il pensatore ateniese paragona la luce dell’idea del Bene alla luce del Sole che illumina, ma riconosce nella prima una sostanza immateriale e divina.
Fondamentale per tutto il Medioevo e il Rinascimento è poi l’interpretazione che Plotino dà della luce. Secondo il filosofo dall’Uno, inteso come un punto luminoso, si irradia, discende la realtà. La lezione neoplatonica è alla base della cosiddetta metafisica della luce, una dottrina medievale che ha il suo principale esponente in Roberto Grossatesta (1175-1253), secondo la quale la luce è la forma prima dei corpi, la struttura costitutiva di ogni ente fisico, animato o inanimato. E Dio è la luce eterna. La luce è ciò che costituisce l’universo e ne determina i suoi mutamenti e movimenti. Dalla diffusione della luce dipende ogni tipo di causalità naturale. Ma la luce non è solo il principio costitutivo, ontologico della realtà, essa rischiara anche il nostro intelletto. Agostino parla della necessaria illuminazione che Dio opera sul nostro intelletto. E Platone non rivela forse nel mito della caverna che noi siamo incatenati con le spalle rivolte alla luce e per questo siamo destinati a vedere solo le ombre delle cose.

IL CONSIGLIO FILOSOFICO: secondo la tradizione, in punto di morte il grande poeta J.W. Goethe pronunciò queste due semplici parole: “Mehr Licht”, ossia “Più luce”. La luce, non solo fisica, è la condizione fondante del nostro agire e pensare, è la verità che disvela, è il Sole che dà vita. Dovremmo cercare di “vedere la luce” come Jack dei Blues Brothers, ma dobbiamo fare attenzione a non prendere dei clamorosi abbagli perché precipitare negli inferi e bruciare è molto facile.
“Nel nostro mondo, dove c’è la luce, necessariamente c’è anche l’ombra. Dove c’è il bene necessariamente c’è anche il male, che può essere vinto e controllato se una parte del Bene divino diventa quel guerriero-difensore che distrugge tutte le illusioni di cui vive il male” (BdB – Rivista Età dell’Acquario n. 45/1986 pag. 9)
“Il male deriva dai nostri pensieri, dalle nostre azioni quando ci allontaniamo dalla giusta via, perciò sta a noi essere vigilanti e non lasciarci tentare dal maligno. Dio non c’entra con i nostri mali. Sono causati solo dalla nostra ignoranza e dalla nostra distrazione dalla luce.”
(BdB – Rivista L’Età dell’Acquario” n. 52/1981)
“Siamo all’inizio del periodo crepuscolare del Kali Yuga e la lotta tra il Bene e il Male ha lo stesso valore, lo stesso significato dell’instabile equilibrio tra le energie yin e yang, luce e tenebre. Il Male non esiste nella realtà del Tutto. Tutte le sue vittorie sono illusorie, valide soltanto per la realtà limitata del trimundio e resa possibile dai nostri cinque sensi, da una delle nostre molteplici menti e solo per gli uomini che sono imprigionati e condizionati dallo Spazio e dal Tempo, al difuori dei quali regna l’AUM”

NELLA TRADIZIONE TEOSOFICA con “LA GRANDE INVOCAZIONE” la luce rappresenta il LOGOS, l’origine della creazione e della trasformazione, della ricerca della verità, prima e ultima, del mondo negli infiniti universi.
Dal punto di Luce nella Mente di Dio
Affluisca Luce nelle menti degli uomini.
Scenda Luce sulla Terra.
Nelle prime tre righe abbiamo un riferimento alla Mente di Dio quale punto focale della luce divina. Questo si riferisce all’anima di tutte le cose. Il termine anima, con il suo principale attributo di illuminazione include l’anima umana e il punto di luce che consuma che consideriamo l’anima adombrante dell’umanità. Quell’anima porta luce e diffonde illuminazione. Si ricordi sempre che la luce è energia attiva.
Quando invochiamo la Mente di Dio e diciamo: “ Affluisca luce nelle menti degli uomini, scenda Luce sulla Terra”, esprimiamo uno dei grandi bisogni dell’umanità e, se l’invocazione e la preghiera significano qualcosa, la risposta è certa e sicura. Se troviamo che in tutti e in ogni tempo, in ogni epoca e in ogni situazione, è presente l’impulso a lanciare un appello al Centro spirituale invisibile, vuol dire che tale centro esiste con certezza. L’invocazione è vecchia quanto l’umanità stessa.
Il Cristo ci dice che gli uomini “amano l’oscurità piuttosto che la luce perché le loro azioni sono cattive.” Nondimeno, una delle grandi bellezze emergenti in questi tempi è che la luce viene gettata in tutti i luoghi oscuri e nulla vi è di nascosto che non possa essere rivelato. La gente riconosce l’attuale oscurità e miseria e di conseguenza la luce è bene accolta. L’illuminazione della mente degli uomini affinché possano vedere le cose così come consente di percepire i giusti moventi e in questo momento il modo di realizzare giusti rapporti umani è la necessità principale. Nella luce portata dall’illuminazione alla fine vedremo la luce e verrà il giorno in cui migliaia di figli degli uomini e innumerevoli gruppi saranno in grado di dire con Ermes e con Cristo
“ Sono o siamo la luce del mondo”.

Saggio di Paola Turrini

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Articolo collegato: http://paolodarpini.blogspot.com/2018/09/la-duplice-natura-della-luce-onde-e.html

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