Salvini e la crisi del governo Conte… Secondo Marco Ferrando

«Chiedo al popolo italiano pieni poteri». Il ministro degli interni più reazionario del dopoguerra svela il proprio progetto bonapartista. Non il fascismo, ma neppure un ordinario centrodestra in una normale logica di alternanza. Il progetto di Salvini è quello di un regime Orban all’italiana, fondato su un blocco sociale nazionalpopolare e sulla concentrazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo. È nel nome di questo progetto che il ministro degli interni ha operato lungo l’arco di un anno, tra strette forcaiole, demagogie reazionarie, invocazione di rosari e Madonne, con la piena complicità del M5S. È nel nome di questo progetto che Salvini ha aperto la crisi del governo Conte, rompendo con M5S.

I FATTORI DELLA CRISI POLITICA

Il governo M5S-Lega era minato sin dalle origini dalla natura plebiscitaria del progetto salviniano, oltre che dalla contraddizione tra i blocchi sociali delle due destre che lo componevano. Il ribaltamento dei rapporti di forza tra Lega e M5S, certificato dal voto europeo, ha precipitato questa contraddizione. L’iniziativa di rottura da parte di Salvini si pone in questo quadro. Diversi fattori combinati hanno spinto in questa direzione: le pressioni dei potentati leghisti del Nord, già da tempo insofferenti verso l’alleanza col M5S e interessati al bottino pieno sulle “autonomie”; la volontà di Salvini di capitalizzare il consenso indicato dai sondaggi prima di intestarsi una legge di stabilità ad alto rischio, combinata col timore di trovarsi intrappolato nelle conseguenze istituzionali della riduzione del numero dei parlamentari, cioè in un altro anno di governo col M5S senza disporre di vie d’uscita (e dunque oltretutto con un potere contrattuale dimezzato). Infine la paura che le inchieste giudiziarie (Russiagate) potessero azzopparlo in mezzo al guado. In una parola, Salvini rompe oggi per paura di non poterlo fare domani, o di doverlo fare in condizioni peggiori.

La mossa è audace ma non è priva di razionalità. Salvini va all’affondo nel momento della massima crisi di tutti gli altri partiti. Forza Italia è di fronte al proprio cupio dissolvi. Il M5S lambisce una crisi potenzialmente esplosiva. Il PD è percorso da una linea multipla di frattura interna e dal rischio di una nuova possibile scissione (renziana). La sinistra politica è al punto più basso della propria parabola storica, per responsabilità dei suoi gruppi dirigenti. La crescita impetuosa della nuova Lega nazionale è stata ad un tempo un fattore propulsivo di questo scenario e il suo massimo beneficiario. Salvini vuole semplicemente portarla all’incasso.

LE VARIABILI DELLA CRISI

Gli sviluppi della crisi politica hanno diverse variabili. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in accordo col M5S, vuole un dibattito parlamentare prima di rassegnare le dimissioni. L’obiettivo è scaricare su Salvini la responsabilità pubblica della rottura per zavorrare il suo slancio, ed anche ritagliare per sé il ruolo di argine istituzionale, quale futura possibile riserva della Repubblica. La presidenza della Repubblica, a sua volta, ha concordato con Conte il passaggio parlamentare della crisi. L’obiettivo di Mattarella è evitare che Salvini possa gestire da ministro degli interni le future elezioni, fosse pure in un ruolo di amministratore degli affari correnti. Da qui l’idea di un governo di garanzia elettorale, affidato a personalità estranee ai partiti, anche privo di maggioranza parlamentare. Una ipotesi complicata, ma non preclusa.

In ogni caso, nell’attuale Parlamento altri governi politicamente in grado di sbarrare la via delle urne appaiono decisamente improbabili. Un governo PD-M5S avrebbe una maggioranza parlamentare, ma il M5S non può oggi disporsi ad un’alleanza col PD senza un suicidio definitivo a beneficio di Salvini. E il PD di Zingaretti non può realizzare un blocco di governo col M5S prima del voto senza fornire a Renzi lo spazio politico della agognata scissione. Peraltro Nicola Zingaretti vede proprio nel voto anticipato l’occasione di ridisegnare i gruppi parlamentari del PD, sottraendoli al controllo renziano. Matteo Renzi sembra replicare alla minaccia con la ricerca paradossale di un proprio accordo diretto col M5S capace di scavalcare Zingaretti e di dar vita a un governo-ponte: giusto il tempo necessario per promuovere un proprio partito. Ma le possibilità reali che questa operazione vada in porto sono estremamente limitate, perché la segreteria PD fa barriera e Di Maio ha ancora più difficoltà ad accordarsi con Renzi di quanta ne abbia con Zingaretti. La risultante di questo groviglio è una sola: le elezioni anticipate, a fine ottobre o a inizio novembre, sembrano l’unico possibile sbocco della crisi politica che si è aperta, sia che a gestire l’accesso al voto provveda il governo uscente, sia che provveda un “governo di garanzia elettorale”.

LO SCENARIO POSSIBILE DI UNA VITTORIA REAZIONARIA

Vedremo quale sarà l’assetto degli schieramenti politici che si presenteranno alle elezioni. La legge elettorale resterà verosimilmente invariata. In questo quadro una scelta di corsa solitaria per Salvini sarebbe rischiosa per il “capitano”. Salvini ha bisogno di conseguire una maggioranza assoluta dei seggi in Camera e Senato, e difficilmente può conseguire l’obiettivo senza alleanze. L’alleanza con Fratelli d’Italia appare probabile, e (persino) quella con Forza Italia non è esclusa. Un simile schieramento potrebbe certo conseguire il risultato atteso. Il M5S è forse in grado di ricomporre le sue sparse membra in occasione del voto, ma la figura di Di Maio è compromessa in termini di credibilità. Il PD cercherà di riaggregare attorno a sé un’alleanza di centrosinistra, più o meno variopinta, ma senza realistiche possibilità di successo. A parità di condizioni si profila dunque all’orizzonte la possibile vittoria elettorale di un blocco reazionario a egemonia salviniana.

Naturalmente non tutto è deciso. Fatti politici imprevedibili oggi possono sempre giocare un ruolo. Un’eventuale candidatura di Conte per conto del M5S potrebbe ad esempio rafforzare quest’ultimo. Una crisi finanziaria, legata a una impennata dei tassi di interesse, con la conseguente svalutazione patrimoniale delle banche, potrebbe spaventare la piccola borghesia e complicare la marcia di Salvini. Ma al netto di queste o altre variabili – che è sempre necessario monitorare – lo scenario di un’affermazione elettorale della destra si delinea come il più probabile.

LE RESPONSABILITÀ POLITICHE DELL’AVANZATA DI SALVINI

Questo scenario viene da lontano. Viene innanzitutto dall’arretramento profondo del movimento operaio, dei suoi livelli di mobilitazione e di coscienza, di cui portano piena responsabilità le burocrazie sindacali, con la loro politica di compromissione col padronato e di svendita degli interessi dei lavoratori. Salvini non avrebbe il consenso che ha tra i salariati se la burocrazia sindacale non avesse avallato la legge Fornero. L’immagine recente di Maurizio Landini premurosamente accorso all’invito del ministro degli interni, per un incontro politico con la Lega ad esclusivo interesse della Lega, dà la misura della psicologia subalterna di una burocrazia che cerca solo la propria legittimazione, da chiunque venga, fosse pure dal peggiore figuro della reazione.

Ma la via del successo di Salvini è stata lastricata anche dai gruppi dirigenti della sinistra politica. Non solo, ovviamente, dal corso populista reazionario di Matteo Renzi e dai successivi governi del PD che hanno tutti concimato il terreno di Salvini (Minniti docet). Ma anche dai gruppi dirigenti di una sinistra cosiddetta radicale che prima hanno distrutto Rifondazione Comunista per conquistare sottosegretariati, ministeri, cariche istituzionali, votando missioni di guerra e regali fiscali ai padroni; e poi si sono spartite le spoglie di un partito distrutto o per negoziare di nuovo col PD (SEL/SI) o per inseguire un progressismo civico privo di qualsiasi valenza di classe con Di Pietro, Ingroia, Barbara Spinelli (PRC). Sino al comune tracollo delle ultime elezioni politiche. Lega e M5S non avrebbero sfondato nel mondo del lavoro se un argine di classe non fosse stato smantellato proprio da chi avrebbe dovuto presidiarlo.

I GRUPPI DIRIGENTI DELLA SINISTRA RIPERCORRONO GLI STESSI SENTIERI?

Il punto è che i gruppi dirigenti della sinistra, non paghi di questo bilancio, sembrano ostinarsi a ripercorrere gli stessi sentieri.

Nicola Fratoianni invoca contro Salvini un ampio fronte democratico col PD liberale, lo stesso che a Salvini ha spianato la strada. Il segretario del PRC Maurizio Acerbo propone al PD e al M5S di fare in questo Parlamento un governo comune in grado di «mettere Salvini all’opposizione» (1), idea peraltro avanzata da tempo da un vasto fronte politico-editoriale liberalprogressista, da Massimo Cacciari alla redazione dell’Espresso, passando per il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. È una proposta che trascura uno spiacevole dettaglio: un accordo di governo tra PD e M5S potrebbe certo ostacolare la corsa alle urne immediata di Salvini, ma gli fornirebbe una nuova gigantesca mietitura quale unica “opposizione” al sistema. Esattamente il profilo abusivo che Salvini ha costruito negli anni grazie alle svendite – sindacali e politiche – della sinistra.

La verità è che nessun fronte democratico di centrosinistra, tanto più se allargato sulla destra (M5S), può arrestare la marcia reazionaria di Salvini. Può farlo solo il rilancio di un movimento di lotta indipendente del movimento operaio, che unifichi tutte le lotte di resistenza, e ponga una propria agenda di rivendicazioni al centro della scena politica. Un movimento di lotta che rifiuti di subordinarsi all’ennesimo centrosinistra e apra il varco ad un’alternativa anticapitalista.

SOLO LA CLASSE LAVORATRICE PUÒ BATTERE LA DESTRA, IL FRONTE DEMOCRATICO LA NUTRE

A tutti i campioni di realismo politico e istituzionale che da decenni biasimano il nostro “estremismo” classista vorremmo rinfrescare la memoria. È stata sempre la lotta di classe e di massa ad arrestare la reazione, mentre la sua liquidazione l’ha nutrita. Nel 1994 fu il grande sciopero di massa a difesa delle pensioni a fermare il primo governo Berlusconi e a porre le condizioni della sua caduta. Mentre fu la sua liquidazione, nel nome della subordinazione al centrosinistra di Prodi, D’Alema e Amato, a riconsegnare l’Italia a Berlusconi. Fu nuovamente la stagione delle mobilitazioni di massa dei primi anni 2000 (operaie, contro la guerra, no global…) a indebolire e a provocare la caduta del Cavaliere, mentre la svendita di quelle lotte tra le braccia di Prodi ha riconsegnato il paese alla destra.
I fronti democratici con i liberali “contro la destra” hanno sempre spianato la strada alla destra.

Questa è la memoria che oggi va incorporata alla lotta contro il salvinismo. Solo una ripresa di classe può alzare un argine contro la reazione. Solo il rilancio di una mobilitazione di massa indipendente può consentire al movimento operaio di agire come fattore politico, disgregare il blocco sociale reazionario, ricomporre attorno a sé un blocco sociale alternativo.
È la linea di proposta e di intervento del Partito Comunista dei Lavoratori, in ogni lotta e su ogni terreno.

Marco Ferrando

(1) http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=39044

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