Di “Espresso” c’è rimasto solo il caffè…

Concordo con Tommaso Merlo, autore dell’articolo sottostante, anche se non ne condivido il linguaggio troppo aspro e risentito. Da anni sollecito a non comprare più giornali e non guardare la tv, perché il giornalismo italiano, salvo eccezioni, è indegno di considerazione, inaffidabile, privo di credibilità, servo di padroni più o meno invisibili e ostile alla popolazione che pretenderebbe di continuare a manipolare e mistificare a piacimento. I mass media italiani meritano di fallire tutti, unico modo per lasciare spazio a nuove generazioni che siano meno corrotte e indottrinate, che facciano informazione e non propaganda, che si mettano in gioco anziché prostituirsi.

Claudio Martinotti Doria

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Fallisce anche l’Espresso. Finalmente
di Tommaso Merlo – 07/04/2019

Che l’Espresso stia fallendo è davvero una bella notizia perché lascerà spazio ad altri progetti editoriali che i cittadini riterranno degni di essere letti. A far chiudere i giornali in Italia non è qualche dittatore gialloverde, sono i cittadini che non li comprano più. Evviva la democrazia. E quando il governo gialloverde taglierà gli ultimi finanziamenti all’editoria, altre testate seguiranno l’Espresso nel baratro.

Era ora. E così sul mercato rimarrà chi fa giornalismo all’altezza dei tempi e dei lettori. Evviva la liberà di mercato. Evviva la libertà di espressione. Nessuno dice infatti che l’Espresso debba cambiare idea o smetterla di attaccare i gialloverdi, macché, che continui puri, anzi, che alzi i toni se gli fa piacere, ad una sola piccola condizione, che lo faccia coi soldi dei suoi padroni o dei suoi lettori e non coi soldi dei contribuenti. E visto che i lettori se la sono data a gambe levate, all’Espresso sono rimaste due possibilità. O convince i De Benedetti a vendere ville e yatch e gioielli di famiglia per pagare gli stipendi dei loro giornalisti oppure abbassare la saracinesca e mandare le penne rosse a lavorare. E good luck.

Sta finendo un’era. Finalmente. L’Italia ha girato pagina, è andata avanti. Il giornalismo no, è rimasto indietro politicamente ma anche culturalmente. È figlio di un mondo che non esiste più. Ed è questo il problema. La stampa dovrebbe essere una delle avanguardie della società, un luogo che informa onestamente la cittadinanza ma anche dove si ragiona, s’immagina, si contribuisce in qualche modo al pensiero e al dibattito di una comunità nazionale. Invece la stampa italiana oggi è drammaticamente piatta e distante dalla società. È retrograda e conservatrice. Sa di muffa. È lenta, scontata, e le sue parole sono vaghe e vuote come quelle di certi professoroni alla vigilia della pensione o di certi preti anziani che hanno perso la vocazione e predicano in chiese desolatamente vuote. Ostaggio di vecchi soloni rimbambiti, la stampa italiana predica e si lagna sbandierando stracci sgualciti senza avere la forza di penetrare nella realtà e soprattutto guardare avanti. Riesce solo a guardare indietro, appiccicando etichette anacronistiche, replicando ricette ormai nauseabonde. Come impedita da paraocchi ideologici che la fanno sbattere contro i muri delle proprie ammuffite convinzioni.

Il perché è semplice. La stampa italiana è una delle sacche in cui si è annidato il vecchiume pre 4 marzo. È una casta reduce del vecchio regime e dal dente avvelenato che rifiuta il cambiamento perché per molti di loro significherebbe perdere carriere e status e la pestifera certezza di essere nel giusto in quanto casta intellettualmente e moralmente superiore. Ego e depravazione elitaria di categoria. Ma anche bassa politica. La stampa oggi è una protesi malconcia delle paturnie ideologiche del passato e di una fase partitica tra le più fallimentari della storia repubblicana. E ne riflette il peggio. Chi dirige la stampa sono anziani o polli di batteria che fino a ieri leccavano i deretani di qualche politicante di destra o di sinistra raccontando in giro la panzana della loro libertà e indipendenza che se ne avessero avuto anche solo un granello non li avrebbero mai fatti nemmeno entrare dalla porta di quelle redazioni. A seguito dello tsunami gialloverde, molta stampa è rimasta orfana di padroni politici e aree di riferimento. Da un giorno all’altro. Da schiava a potenzialmente libera. Ma invece di spezzare del tutto le catene e abbracciare il nuovo corso, ha preferito rimanere incatenata al passato. Invece di smetterla di far politica e cominciare finalmente a fare giornalismo, hanno addirittura esasperato il vecchio modello politicizzato sdoganando fake news e spingendo sulle campagne diffamatorie. Hanno come avuto paura della libertà perché non la conoscono, non l’hanno mai vissuta veramente. E così si son messi in proprio, si son fatti partito. Auto imprigionandosi. Si son fatti sindacati difensori di un regime moribondo, si son fatti infami boicottatori di un cambiamento che non capiscono e non vogliono capire perché sanno benissimo che dopo aver fatto fuori i loro padroni politici, quel cambiamento farà far fuori anche loro. Come infatti sta succedendo. Naturalmente, democraticamente, pacificamente. Lasciando i loro giornali a marcire in edicola ed i loro talk-show blaterare nel vuoto. Stiamo arrivando al punto di rottura. Le crepe son sempre più profonde. I resti del vecchio regime scricchiolano e barcollano preannunciando il tonfo finale. Se i gialloverdi terranno duro, l’Espresso sarà solo il primo salubre crack di una lunga serie.

Fonte: Il giornale del Ribelle

Articolo ripreso da: https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61802

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