In memoria di Samir Amin…


Samir Amin è morto…

Il grande economista franco egiziano è spirato a Parigi il 12 agosto. Soffriva di tumore al polmone.
Nato al Cairo 86 anni fa da madre francese e padre egiziano, nel 1952 ottenne a Parigi la laurea in Scienze Politiche, nel 1956 quella in Statistica e infine nel 1957 la laurea in Economia.

Incontrai Samir in due occasioni. La prima fu al Social Forum Europeo di Parigi, nel 2003. Facemmo insieme buona parte della manifestazione di chiusura parlando a lungo. Ebbe modo di esprimermi diverse perplessità sul “movimento” nonostante l’appariscente riuscita del Forum. Ci rincontrammo di lì a non molto a Milano, dove presentammo in tandem due nostri libri pubblicati da Punto Rosso.

Il pensiero di Samir Amin non è descrivibile in poche righe e nemmeno in poche pagine. Si formò nel crogiolo delle lotte d’indipendenza nazionale in Africa nel dopoguerra, quando si parlava di “Paesi in via di sviluppo”, uno sviluppo poi mortificato dalla rapina finanziaria coordinata dal Fondo Monetario Internazionale quando i capitali mondiali iniziarono a essere reclamati non dallo sviluppo (qualsiasi cosa voglia dire) ma dallo stomaco senza fondo della finanziarizzazione.

La deriva del marxismo elaborato nei centri capitalistici, ovvero quello che io considero l’ibridamento e intorbidimento di alcune categorie di origine marxista con quelle che accompagnano i piani globalisti-finanziari, lo portarono a prendere le distanze da ciò che riteneva un “marxismo eurocentrico”. Fu per questo tacciato di “terzomondismo”, alla pari di uno studioso che ha avuto molti contatti con Samir, ovvero il nostro Giovanni Arrighi.
Entrambi sono stati invece maestri nella ricerca continua dell’applicazione dell’insegnamento marxista ai mutamenti globali della realtà e nel mettere in guardia dalle formulazioni libresche, economicistiche, antistoriche e iper-concettuali.
Samir Amin affermò una volta che il capitalismo coincideva con la storia stessa del capitalismo. Al di là della sua storia non poteva esistere nessun concetto di “capitalismo” (o di “capitale”).
E’ un’affermazione da non dimenticare mai (se si vuole fare qualcosa di diverso che non essere un intellettuale marxista).

Il suo supposto “terzomondismo” era invece un realistico richiamo alla necessità dei paesi della periferia di sottrarsi dall’abbraccio mortale di una globalizzazione che lungi dall’essere il dispiegamento di quanto Marx aveva (avrebbe) previsto, era una riconfigurazione del capitalismo globale ad uso e consumo di un Occidente in crisi, declinante e quindi sempre più aggressivo.

Da questa constatazione nasce il suo concetto di “delinking”. Se si rileggono i suoi scritti e i suoi libri, non è difficile notare che il delinking suggerito da Samir Amin ha molti aspetti in comune con la necessità di ritornare alla sovranità nazionale che acquista sempre più consensi anche nei Paesi del centro capitalistico storico.
Le ottiche progettuali spesso sono molto distinte da chi oggi rivendica un ritorno a questa sovranità, dato che l’ottica di Samir Amin era marxista e socialista, ma i problemi affrontati non sono invece molto diversi. Questo è ovviamente un problema, politico e sovente valoriale, ma non ha alcun senso fare finta che non ci sia.
Questa affermazione può fare storcere il naso a chi ragiona in termini non politici ma ideologico-identitaristi. Non me ne stupisco. Samir Amin non è stato un teorico e un attivista conosciuto e quando è stato conosciuto spesso non è stato amato o persino non è stato capito. La stessa sorte di Andre Gunder Frank e di Giovanni Arrighi, pensatori simili a lui per ampiezza di visione e preparazione.
Io suggerisco invece con tutto il cuore di leggerli o rileggerli e cercare di capirli. Forse si avrà un’idea meno mitica della crisi, delle difficoltà che stiamo vivendo e dei compiti che ci aspettano.

La morte di Samir Amin è la perdita di un grande pensatore e di un uomo gentile.

Pier Pagliani

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Commento di Vincenzo Brandi: “Sottoscrivo completamente le considerazioni di Piero sulla morte ed il pensiero di Samir Amin. In particolare quando ricorda l’affermazione di Amin secondo cui il capitalismo non va esaminato astrattamente ma con riferimento sempre alla storia stessa del capitalismo, cioè a come si è concretamente sviluppato. Altrimenti si rischia di fare solo dell’ideologia, come capita ormai da tempo al marxismo “eurocentrico”…”

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Commento integrazione di Fulvio Grimaldi:

“In merito ai giusti tributi riservati al grande marxista Samir Amin, che mi regalò alcune perle di saggezza arabo-marxista in un caffè del Cairo, in vacanza da Parigi, mi sembra giusto evitare il vezzo italiano per cui del morto non va detto mai niente di critico. Ecco, per esempio, una citazione di Samir che rappresenta superficialità e supponenza spesso rilevabili nei marxisti duri e puri e che Marx avrebbe redarguito, un giudizio abnorme su uno dei più grandi combattenti per l’unità e il riscatto arabi e africani e colui che al suo popolo aveva dato il più alto livello di vita dell’intero continente. Macchia nera e giudizio non circum-navigabile.

Gheddafi non è stato altro che un pulcinella di cui il vuoto di pensiero trova il suo riflesso nel suo famoso “Libro verde”. Operando in una società ancora arcaica, Gheddafi ha potuto permettersi di tenere in successione discorsi – privi di portata reale – “nazionalisti e socialisti”, per poi orientarli il giorno dopo verso il “liberismo”. Ha fatto questo “per fare piacere agli Occidentali”!, come se la scelta del liberismo non producesse effetti sulla società. Tuttavia, ne ha prodotti, e molto banalmente, per la maggior parte ha aggravato i problemi sociali.

E sarebbe per questi meriti occidentali che l’Occidente avrebbe squartato lui e raso al suolo il suo paese? Aggiungerei, sempre sullo sfondo di un marxismo da comunista iperteorico e poco pragmatico, la sua avversione, dopo un’iniziale adesione, al panarabismo, forza motrice strategica del risveglio di una grande nazione e per questo aggredita con tutti i mezzi dall’imperialismo; il sostegno al recente intervento colonialista francese in Mali e in tutta la regione del Sahel, giustificato con l’intento di evitare che la colonizzazione e la rapina dei beni minerari fossero compiute da Usa, UK e Germania; l’ambiguità poco lucida, per un attentissimo studioso delle tecniche provocatorie dell’imperialismo, sugli attentati dell’11 settembre, sì, secondo lui, sfruttati dagli Usa per guerre d’aggressione, ma compiuti dagli immaginari dirottatori di Bin Laden mentre Cia e Mossad si sarebbero limitati a lasciar fare; l’accredito di altri attentati, come Charlie Hebdo o Bataclan, a radicali jihadisti ed estemisti locali per costringere la Francia a mollare il Sud della Libia; la scelta maoista, legittima, accompagnata dalla feroce critica, ingiustificata, a un presunto espansionismo sovietico; l’appassionata adesione ai movimenti dei Forum Sociali di Porto Alegre, con gli esiti che conosciamo; il passaggio dal maoismo spinto alla difesa dell’attuale modello cinese, definito con l’ossimoro “socialismo di mercato”, alternativa alla globalizzazione neoliberista.

Avendo capito benissimo come l’accumulazione capitalista e il mondialismo si stavano concentrando sulla spoliazione dei paesi dalle ricche risorse attraverso lo sradicamento delle loro popolazioni e sulla destabilizzazione degli Stati nazionali (sparò a zero contro i secessionisti catalani), la sua autorevole voce avrebbe potuto con forza e chiarezza denunciare l’operazione migranti e i suoi manutengoli Ong.

Mi pare giusto accompagnare ricordi e apprezzamenti con riserve riguardanti questi e altri punti, giusto per non indurre chi si fida a fare l’eterno errore dei fideisti di accettare tutto tout court. Sempre meglio distinguere, no? Del resto, “nessuno è perfetto”, come si conclude in “A qualcuno piace caldo”. (Fulvio Grimaldi)

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