“Un ‘68 lungo una vita” di Fulvio Grimaldi – Presentazione

“UN SESSANTOTTO LUNGO UNA VITA”, DA FASCIO E SVASTICA A GLOBALISMO BIO-TECNO-FASCISTA
Dopo la prima edizione, esaurita in 15 giorni, escono la seconda edizione italiana e la prima tedesca, onorate dalla prefazione di Vladimiro Giacchè e tormentate dal mio disordine cronologico, geografico e tematico, di un racconto di vita tra rivoluzione, controrivoluzione, stagnazione, combattenti, amici del giaguaro e utili idioti.

In Italia sul cinquantenario del ‘68 si sono buttati a pesce pochi titolati e molti abusivi. Forse, se per il ’68 italiano hanno scelto me, anziché un Sofri, un Bologna, un Fofi, una Castellina, un Viale, un Mordenti, un Capanna, un Boato, un Erri De Luca che, insieme alle Alpi, scala le vette del sionismo, oppure altri, fasulli e millantatori, promossisi militanti o esperti ex-post per approfittare dell’ondata editoriale, è dovuto al fatto che, forse, qualcuno della “Bundeszentrale” è incappato in una delle trasmissioni, interviste, tavole rotonde, del popolare giornalista e politologo Ken Jebsen. Jebsen, odiatissimo dalle truppe radical-trendy, russofobe e di complemento al sistema capital-globalista, è giornalista di riferimento in Germania per l’opinione antimperialista, antiliberista e sovranista. Ne sono stato ripetutamente ospite. E i vagliatori dei reduci del ’68 si saranno resi conto che, diversamente da molti dei sopra citati e di tanti altri, il sottoscritto non aveva cambiato casacca, trincea, amici e nemici, e che questa continuità poteva perciò essere più aderente a un progetto storico obiettivo, rispetto a chi da eversore si era fatto grillo parlante, da incendiario pompiere e perfino manganello dell’establishment.

Chi c’era e chi ci faceva
Rapidamente. Dall’intesa tra la “Bundeszentrale” e Zambon, editore di altri miei libri, il contributo alla raccolta dei vari sessantottini si evolve in libro: ““68 ein Leben lang”. Dal quale, visto la superfetazione di pubblicazioni, seminari, convegni, inserti, raduni vintage, abbiamo pensato, Zambon, il suo collaboratore Fabio ed io, non sarebbe stato inopportuno trarre anche un’edizione italiana. Più lunga di quella tedesca, visto anche che per caratteristiche di durata, molteplicità dei soggetti, spessore dell’elaborazione teorica e ricchezza di quella pratica, il Movimento in Italia supera per importanza storica e politica quello più effimero di Francia, Germania, paesi anglosassoni e, semmai, trova paralleli nelle resistenze latinoamericane, nelle lotte anticoloniali del Terzo Mondo, in Palestina e nel nazionalismo arabo, nell’antimperialismo del Vietnam, nelle rivolte civili. Dove perlopiù, tra le varie organizzazioni italiane, eravamo presenti da comunicatori e partecipanti. Nostri fratelli erano i Tupamaros, l’ERP, i fedayin, l’Ira, Irlanda del Nord, Palestina e Libano, Che Guevara, il Portogallo dei Garofani. Il PCI su queste cose si ingarbugliava e poi bloccava. L’onesto Berlinguer, scegliendo Nato e DC, gli aveva sparato la pera tossica finale. Il “manifesto” di Rossanda, Castellina e altri della tribù, ciurlava nel manico, calmierava, obnubilava il proletariato con una sovracultura astrusa e inaccessibile, destinata a farci sentire tutti inadeguati, cretini.

Quando Sofri e la sua conventicola presero a blaterare di socialimperialismo, concetto balordo e infondato, vollero inserire nella nostra galleria pure i Solidarnosc polacchi, mobilitati dal Papa guerrafondaio in Jugoslavia e finanziati da italiani, europei e americani embedded con la Cia, checchè si volesse dire del generale Jaruzelzki e dei sovietici, la crepa aperta nel movimento prese a sanguinare e si sarebbe allargata fino al dissanguamento. Il PCI su queste cose si ingarbugliava e poi bloccava. L’onesto Berlinguer, scegliendo Nato e DC, gli aveva sparato la pera tossica finale. Il “manifesto” di Rossanda, Castellina e altri della tribù, ciurlava nel manico, calmierava, obnubilava il proletariato con una sovracultura astrusa e inaccessibile, destinata a farci sentire tutti inadeguati, cretini.

Con i detriti di Solidarnosc il Nostro allestisce oggi rievocazioni spurie del ’68, dipanando un filo che, fin dal salto della quaglia da Lotta Continua a Pannella e Craxi, ai jihadisti ceceni, lo ha reso cantore, sulla pubblicistica berlusconiana e debenedettiana, di ogni operazione imperialista made in globalizzazione e russofobia. Altri del suo “giro”, si sono inguattati nelle alcove di lusso delle presstitute, con ovunque quell’esposizione e rilevanza che premia i venduti e offre soddisfazioni ai loro acquirenti

Noterete che non c’è campagna di distrazione di massa dai temi che dovrebbero mobilitare quelli che stanno sotto, perlopiù gestite e finanziate da Soros e dai suoi apparati, che non veda in prima fila un “ex”: identificazione di paesi da radere al suolo perché guidati da “dittatori”; migranti da accogliere purchè sguarniscano di forze i paesi d’origine, si prestino alle nuove forme di schiavitù e abbattano i diritti dei lavoratori in quelli d’arrivo; tutta l’ossessiva panoplia dei cosiddetti diritti civili, dai matrimoni unisex alle adozioni da uteri in affitto, alla criminalizzazione di un genere in quanto tale e la divinizzazione dell’altro in quanto tale, a fini di frammentazione sociale e di ostilità indotte tra gruppi che perdono di vista il nemico comune.

Fin dalle prime battute il decennio insurrezionale ha visto chi, più che esserci, ci faceva. Serpeggiavano tra le file dei nostri soggetti rivoluzionari: operai, studenti, intellettuali, precari, sottoproletari, inquadrati in strutture autoritarie come esercito e polizia, combattenti contro la devastazione del patrimonio ambientale. Spesso mandati a estremizzare. Al momento giusto sparivano. Un’infima minoranza, ma di gente molto in vista, anche perché fatta emergere apposta e bene attrezzata. Parte del merito della vittoria della controrivoluzione e della “restaurazione progressista”, le va riconosciuto. Insieme alla militarizzazione dello scontro affidato agli apparati dello Stato, a cominciare dal mai defunto Gladio, dai servizi esteri, dagli infiltrati che oggi il Sistema manda a imbrogliarci dagli schermi con versioni degne di quelle rifilateci sull’11 settembre.

Stralcio di un articolo di Fulvio Grimaldi


(da www.fulviogrimaldicontroblog.info)

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