Michele Rallo: “Ho fatto un sogno: andare in pensione a 67 anni!”

I nostri figli percepiranno la pensione a 67 anni? Magari fosse così. In realtà – ad andare benissimo – nessuno dei trentenni di oggi potrà iniziare a “godersela” (si fa per dire) prima dei 70 anni.

Perché? È presto detto: per uno dei tanti meccanismi-killer della “riforma” del sistema pensionistico. Riforma che – sia detto per inciso –come tutte “le riforme che i mercati ci chiedono”, mira a distruggere il nostro modello sociale.

Orbene, non paghi di avere introdotto il sistema di calcolo “contributivo” che serve a fabbricare pensioni da fame, i solerti pretoriani dei mercati hanno avuto un’altra alzata di genio: condizionare l’erogazione delle prestazioni previdenziali alla “aspettativa di vita”, ben sapendo che nei paesi progrediti questa cresce rapidamente: era di 33 anni nel medio evo, di 55 anni all’inizio del secolo scorso, ed oggi – in quasi tutti i paesi europei – è largamente superiore agli 80 anni. Noi italiani siamo da sempre al vertice anche di questa classifica: terzi – dopo Principato di Monaco e Giappone – con una media di quasi 85 anni.
In dipendenza della nostra longevità, i governanti e i contabili dell’INPS avevano fissato per noi una soglia minima di 66 anni e 7 mesi per poter cominciare a percepire la pensione. Ma adesso – ahinoi – le stime dell’ISTAT ci regalano altri cinque mesi di vita: in media – con gli scongiuri di rito – dovremmo intraprendere l’ultimo viaggio a poco meno di 85 anni e mezzo. Ecco allora – implacabile come l’ultima balla di Renzi – il meccanismo dell’adeguamento automatico: altri cinque mesi di lavoro, ovvero in pensione a 67 anni.

Poco male, se le cose si fermassero qui: 66 anni e 7 mesi o 67 anni tondi, fa poca differenza. Il problema vero – come ben sanno ISTAT, INPS e Presidenza del Consiglio – è che l’aspettativa di vita continua ad aumentare a ritmi sostenuti. Se l’immigrazione non ci cancellerà dal novero delle nazioni progredite, il traguardo dei 90 anni è già alle viste; e la generazione successiva alla nostra potrebbe arrivare a sfiorare i 100. Se ci fate caso, già ora tutti noi abbiamo in famiglia almeno un elemento che abbia superato i 90 anni d’età, spesso anche i 95. Fra non molto, questa sarà la norma. E cosa ci imporranno allora i nostri esperti del piffero? Di andare in pensione a 80 anni? Vi sembra una esagerazione? Non lo è. È semplicemente il piano criminale dei poteri forti per distruggere il modello sociale europeo e, con esso, gli Stati Nazionali. È un altro dei marchingegni, come l’immigrazione, come la macelleria sociale, come la globalizzazione economica, come l’Unione Europea.

Anche questo, però, è un meccanismo che non è ineludibile, che può essere contrastato, che può essere addirittura ribaltato. Come? Semplicemente ritornando alla normativa di non moltissimo tempo fa. Ricordate il sistema pensionistico della tanto vituperata “prima repubblica”? Meccanismo contributivo, quindi in pensione con l’80% dell’ultima retribuzione; età per accedervi, attorno ai 60; possibilità di optare, con modeste riduzioni, per la pensione d’anzianità; INPS e fondi-pensione autonomi che avevano liquidità in abbondanza, tanto da poter erogare prestiti a tassi agevolatissimi ai propri iscritti; meccanismi che consentivano un turn over equilibrato, tale da consentire alle giovani generazioni di accedere al mondo del lavoro in tempi ragionevoli. E, questo, nonostante le allegre gestioni democristiane, le pensioni-baby ed una pazzesca commistione fra previdenza e assistenza.

Come mai? Perché prima lo Stato esercitava la propria sovranità monetaria, stampava il denaro necessario ad adempiere ai propri doveri istituzionali, ivi compreso quello di assicurare una pensione decente ai suoi cittadini. Adesso, invece, con la riforma del sistema bancario richiestaci dai mercati (sempre loro), abbiamo ceduto il diritto di stampare i nostri soldi alle banche “centrali” private, che poi ce li prestano dietro corresponsione di adeguati interessi. E, quando abbiamo bisogno di più soldi di quanti non ce ne concedano le banche centrali, dobbiamo andarceli a fare prestare dalla finanza speculativa, pagando gli interessi stabiliti in base allo spread, anche questo determinato dai medesimi soggetti finanziari presso cui andremo ad indebitarci.

Le conseguenze di tutto ciò sono inevitabili: uno Stato straccione, alla mercé degli usurai, prigioniero dei poteri forti della finanza ed incapace di adempiere anche ai suoi più elementari doveri. Ivi compreso quello di pagare le pensioni. Perché – non facciamoci illusioni – nessun sistema pensionistico, neanche questo schifoso sistema “contributivo”, è in grado di reggere alle perfide regole del mercato.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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