Alla radice della violenza – Chi può uccidere un animale potrà uccidere anche un uomo…

“Se non uccidi l’animale non ucciderai neppure l’uomo” (Pitagora)

Considero il principale nemico della civiltà umana, e la causa della maggior parte dei delitti, l’insensibilità del cuore, l’indifferenza verso la sofferenza altrui, l’incapacità di condividere le necessità vitali dell’altro, l’incapacità di dar valore alla vita, in tutte le sue manifestazioni. Considero la mancanza di compassione il vero cancro del genere umano, ciò che maggiormente preclude la realizzazione personale, sociale, civile, democratica, evoluta.

Un uomo sensibile, capace di percepire il dolore degli altri come potrebbe essere un assassino, un ladro, uno stupratore? Come potrebbe un uomo essere ingiusto, disonesto, approfittatore se fosse educato al rispetto e al valore anche del moscerino, dell’albero? E’ la sensibilità del cuore, la compassione, il vero segreto della rigenerazione umana capace di produrre giustizia e pace nel mondo.

Ma chi è indifferente alla sofferenza degli animali come può essere sensibile alla sofferenza degli uomini? Chi non sa dare valore alla vita dell’animale come può dar valore alla vita degli esseri umani? Chi è indifferente al pianto di un animale martirizzato in un allevamento intensivo o sui banchi del vivisettore, come potrebbe essere sensibile al dolore degli uomini? Chi non sente la disperazione di un animale braccato, imprigionato, torturato come può comprendere l’angoscia del suo simile? Eppure gli uomini riescono ad essere crudeli nei confronti degli animali perché separano l’animale dall’uomo. Dicono: “L’animale è una cosa, un’altra è l’essere umano”. Ed è questo ciò che genera ogni crimine nei confronti degli animali e ogni discriminazione e ogni violenza anche nei confronti degli umani.

Il valore di un uomo non si calcola in base alla sua cultura, alla sua intelligenza o alla sua bellezza, ma in base alla sensibilità del suo cuore. La coscienza dell’uomo, infatti non è mai disgiunta da qualunque sua azione, e la storia stessa è lo specchio del livello evolutivo della coscienza collettiva.

Essere indifferenti alla sorte crudele cui sono condannati milioni di animali (di terra, di cielo, di acqua), essere indifferenti alla loro prigionia, all’agonia della loro sistematica uccisione, riuscire a giustificare la distruzione di una creatura fatta come noi per il piacere della propria gola è un fatto spregevole, che preclude la possibilità di estendere i propri confini morali al di la di se stessi.

C’è chi non accetterebbe mai di uccidere il proprio animale d’affezione per il piacere del proprio palato ma considera naturale che questo avvenga a danno degli altri animali, anche se probabilmente non avrebbe il coraggio di essere coerente con se stesso e sopprimere con le proprie mani l’animale che divora.

C’è chi giustifica la logica naturale del più forte sul più debole, ma non accetterebbe mai di essere la vittima e subire la medesima sorte. E anche se a questa persona non importa la sofferenza degli animali pretende che agli altri importi la sua quando si reca dal medico o dal dentista.
Il non considerare la sofferenza animale come un problema è il vero problema:è la radice del male personale e collettivo.

Noi abbiamo l’obbligo morale di informare sulla realtà che vivono gli animali a causa di chi usa mangiarli: dobbiamo responsabilizzare l’uomo davanti alle sue scelte; deve essere pienamente consapevole che mangiare carne significa condannare uno, cento, mille animali ad una terribile esistenza prima di essere fatti a pezzi e cucinati, ma che di questo un giorno dovrà sicuramente rispondere davanti alla Vita.

Franco Libero Manco

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