Shis… sionisti per caso: “dal PD al DP… l’importante è dividersi (i beni)”


Ritorno al passato?

I Democratici e Progressisti nascono bacati già nel nome. Non so se a battezzarsi così siano stati gli stessi scissionisti o qualche loro copywriter di poca spesa e ancor minor resa, ma il risultato non cambia.

Democratici e Progressisti è un nome indefinito e molle come pelle di fico non meno del Possibile di Pippo Civati e del Campo progressista di Pisapia.

A questi genitori privi di originalità è mancato il coraggio di riaprire l’armadio dei nonni e cioè di riscoprire le radici socialiste troppo a lungo e troppo profondamente sepolte. Rimosse come una gaffe giovanile.

«Torniamo all’antico e sarà un progresso», suggeriva Giuseppe Verdi. Purtroppo nessuno degli scissionisti ha un millesimo della creatività e dell’audacia del Cigno di Busseto. Brutti anatroccoli erano e brutti anatroccoli restano. Volatili lacustri inadatti al volo migratorio. Bersagli eccellenti per i cacciatori in botte appostati nella palude.

Se temono che il socialismo schietto non usi più, avrebbero potuto annacquarlo con la rassicurante precisazione «democratici». Avevano paura di essere confusi con Saragat? Beh, è da parecchio che sono peggio e hanno avuto tra le loro file anche qualche Tanassi. E poi chi si ricorda più di quei reperti da museo delle cere. Schultz, l’avversario della Merkel, non si vergogna di dirsi socialista.

Ma che cosa ci si poteva aspettare da ex comunisti della risma di Bersani, D’Alema et similia che negli ultimi trent’anni hanno fatto di tutto per pentirsi e dolersi coram populo dei loro peccati di gioventù. Per essere invitati ai convegni della Confindustria a Bellagio, per confessarsi devoti alla religione della finanza sterminatrice, per essere ammessi un giorno non lontano, chissà, al sancta sanctorum del Gruppo Bilderberg.

Questo finale era scritto, annunciato e noto. Solo dei pivelli possono credere che tra questi vecchi dentro si nasconda uno vecchio solo di fuori come il leone Sanders.

Il nome è la cosa. Dopo aver esaurito tutte le piante dell’orto botanico, dalle querce alle margherite, l’ultima foglia della sinistra incrinata da numerose faglie, sceglie il più insapore e inodore dei nomi.

Chi, pena l’ostracismo, non vuole essere democratico e progressista? Non dichiararsi tali sarebbe come andare in giro nudi o senza telefonino o dichiararsi politicamente scorretti. Bestie rare.

Ultimo, ma non meno importante, l’analisi grammaticale e logica del nome. Come deve intendersi la congiunzione «e»? Indica che la nuova formazione comprende sia Democratici che Progressisti (nel qual caso l’iniziale maiuscola è d’obbligo per entrambi). È cioèl frutto di un’alleanza tra due soggetti complementari? Oppure si tratta di Democratici che sono al contempo progressisti cioè due facce della stessa anima? Nel primo caso, non si esclude l’eventualità di un’ulteriore scissione (dell’atomo), nel secondo è una pedanteria lessicale aver specificato che i Democratici sono anche progressisti e viceversa.

Comunque sia, non andranno lontano. Non si ricostruisce né si rifonda alcunché con le macerie di una casa bombardata e distrutta a più riprese dopo la liquidazione del Pci.

Ora non resta che la lite sul patrimonio e sarà una cosa ben più impegnativa e logorante della gretta faccenda della casa di Montecarlo che dal patrimonio del Movimento sociale, poi Alleanza nazionale, passò a quello personale di Gianfranco Fini che ne era stato segretario quindi proprietario.

Quanto a conflitti meschini, sia la destra sia la sinistra italiane non si fanno mancare nulla. Anziché guidare le loro truppe contro l’avversario politico preferiscono di gran lunga massacrarsi in famiglia. Forse perché non sanno più riconoscere gli avversati e perché sono venuti al mondo?

Per documentare quest’ultimo aspetto della questione, traggo dall’articolo «Truppe (e soldi) della scissione», pubblicato dal Corriere della Sera giovedì 23 febbraio, il paragrafo dall’eloquente titolo «I tesori delle sedi». Ne vedremo delle belle nei mesi a venire. Altro che Netflix.

Il «tesoro» delle sedi
Il patrimonio dell’ ex Pci (c3 mila immobili e svariate opere d’arte) non è transitato in casa del Pd e ora, diviso tra 56 fondazioni, resterebbe sotto il controllo del senatore Ugo Sposetti (ex Tesoriere della Ditta) che insieme a Piero Fassino e a tanti ex comunisti resta nel Pd a sostenere Andrea Orlando. Ma Massimo D’Alema è convinto che qualcosa si muova: «Le fondazioni sono di proprietà di quelle compagne e di quei compagni che hanno costruito case del popolo e sezioni, non appartengono a Sposetti. Sarebbe un immobiliarista potentissimo, ma è una scemenza».

Ivano Sartori

(Fonte: Uqbar Love)

……………………….

Integrazione di Vincenzo Zamboni:

“E’ demenziale che la sinistra, abbandonata la difesa del lavoro abbracciando quella del capitale, serva alla destra la vittoria su un piatto d’argento, ma la demenzialità di tale opera disgraziatamente non ne annulla la realtà.
E sì che la sveglia suona per tutti da anni……
Amplifon ?
Udite, udite il grido di dolore che da per ogni dove si leva funesto……niente, invincibile sordità tenacemente ottusa.
Storicamente, da sempre, se la sinistra non risolve i problemi si fa inevitabilmente avanti la destra.
E’ sempre stato così: la politica, che è gestione dell’economi (il resto è cortina fumogena ideologica distrattiva) non prevede spazi vuoti.
Se la sinistra abbandona la difesa del lavoro contro il capitale (e purtroppo lo ha fatto, passando dalla parte del capitale) la destra si impossessa progressivamente del suo elettorato deluso.
E dopo è inutile lamentarsi di tutto ciò che bisognava prevedere. affrontare ed evitare prima.
Una società è un complesso ampio determinato dalle maggioranze, non dalle minoranze.
La difesa liberale dei diritti di minoranza può certamente affiancare, ma non sostituire, la difesa del lavoro (di molti) contro gli interessi del capitale (di pochi).
E la democrazia, come ci ricordava già Aristotele, è il “governo dei molti”, non dei pochi.
Infatti, nel tentativo di aggirare il problema si sta cercando di limitare il diritto di voto (questo, perlomeno, è stato tentato in molti modi in Italia), tuttavia il semplice “nascondere” i problemi (come la perdita di consenso) non li risolve.
C’è molto da fare, credo, per modificare la rotta.”

I commenti sono disabilitati.