La tagliola del MES ci attende – LA CRISI DEL MONTE DEI PASCHI E LA CONGIURA PER COMMISSARIARE L’ITALIA

Crisi di governo e crisi del Monte dei Paschi: due crisi incrociate, che si avvitano su sé stesse e si rincorrono come il classico gatto che si morde la coda. Due scenari diversi, ma sovrapponibili.

Cominciamo dal primo scenario, quello della crisi postreferendaria. Pur tramortito dalla legnata ricevuta, il bulletto toscano continua a credere di essere l’uomo più intelligente del mondo. Si tira fuori prima che esplodano le mine che lui stesso ha disseminato sul terreno, ed invoca un governo di larghe intese o elezioni subito. Ben sapendo che gli altri non sono così scemi da farsi corresponsabili del disastro annunciato.

Il disegno del Vispo Tereso è chiaro: provocare uno sfascio generale, tale da far dimenticare le sue responsabilità e da farsi rimpiangere. Dopo di che, riproporsi come l’Uomo della Provvidenza e farsi riportare al potere; con un voto popolare o con un’altra congiura di palazzo, poco importa. Poveretto… si crede un nuovo Machiavelli.

Ma il Presidente della Repubblica non ha nessun interesse a favorire lo sfascio, ed ha tirato fuori dal cilindro il nome di Paolo Gentiloni, ministro di Renzi ma non appartenente al cerchio magico dei figli di Leopolda. La composizione del nuovo governo ci dirà se Gentiloni sarà soltanto un paravento del Vispo Tereso o se avrà un profilo autonomo, più “mattarelliano”. La cartina di tornasole sarà la riconferma o meno di Luca Lotti nel ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Lotti è l’alter ego di Renzi ed il suo vero Avatar, l’uomo che dovrebbe restare al suo posto per gestire la tornata primaverile delle nomine negli Enti pubblici, pilastro fondante del potere assoluto renziano. Se Lotti resterà al suo posto, sarà chiaro che Gentiloni si è rassegnato a fare l’Avatar numero due; se Lotti sarà costretto a sloggiare, allora vorrà dire che il nuovo esecutivo sarà più libero dalla fastidiosa invadenza della monarchia renziana.

E veniamo al secondo scenario, quello internazionale che ha generato tanti dei nostri ultimi guai: la congiura del 2011, l’incarico conferito da Re Giorgio a Mario Monti, poi a Enrico Letta, poi allo stesso Renzi, ed infine il tentativo di imporre attraverso le “riforme” quelle modifiche costituzionali utili ai “mercati” (ed esplicitamente richieste dalla J.P. Morgan, guarda caso advisor nella ricapitalizzazione del Monte Paschi).
Di questo medesimo scenario sono parte essenziale altri due elementi, uno di vecchia data ed uno di nuova. Il vecchio è l’ascesa a governatore della Banca Centrale Europea di Mario Draghi. Il nuovo è il ruolo attribuito alla Merkel di ultima difesa del sistema mondialista (e quindi dell’Unione Europea) di fronte ai colpi durissimi infertigli dai popoli: la Brexit, Trump e, in ultimo, questo clamoroso referendum italiano.

Orbene, a segnare l’inizio delle ostilità su questo più vasto fronte è stata l’esplosione della prima mina di Renzi: la crisi di quel che resta del nostro sistema bancario. I fatti sono noti: il Monte dei Paschi aveva chiesto alla Banca Centrale Europea una proroga di soli 20 giorni per portare a termine la prevista ricapitalizzazione, e Draghi (questo governatore “amico dell’Italia”) gliela avrebbe rifiutata. A questo punto, il governo italiano dovrà forse intervenire con un’operazione di partecipazione statale (chiedo scusa se il mio linguaggio tecnico non è perfetto) del costo di circa 5 miliardi di euro. Ma – ecco perché Renzi avrebbe voluto un esecutivo con tutti corresponsabili – dove trovare i 5 miliardi in un bilancio prosciugato dal Vispo Tereso con le sue mille mancette elettorali?

Guarda caso, pochi giorni prima che venisse fatta trapelare la notizia del no della BCE alla proroga richiesta dal MPS, ecco giungere un consiglio – naturalmente disinteressato – da un altro “cerchio magico”, quello con centro a Berlino. Ed il consiglio, incredibilmente, è che l’Italia si consegni ai giustizieri del Meccanismo Europeo di Stabilità. Ad avere avuto il coraggio di formulare questo invito al suicidio è un gentiluomo di nome Volker Wieland, consigliere economico della Kanzlerin Angela Merkel, la padrona di quella cosiddetta Unione Europea contro cui il ragazzotto toscano ha fatto finta di duellare durante la campagna elettorale referendaria.

È a questo punto che il cerchio si chiude, che il gioco si fa scoperto: la lunga marcia della finanza anglosassone per impadronirsi delle nostre banche (al prezzo di un decimo del loro valore) e l’altrettanto lunga marcia della Germania per distruggere la pur sempre temibile concorrenza dell’economia italiana, giungono allo stesso traguardo. E questo traguardo si chiama Meccanismo Europeo di Stabilità, in sigla MES, reincarnazione draculesca del vecchio Fondo salva-Stati. Non si tratta – come si vorrebbe far credere – di uno dei tanti organismi fasulli targati UE, ma di una struttura finanziaria che travalica la stessa Unione Europea e la sua Banca Centrale, una sorta di super-governo internazionale dei creditori, formato da rappresentanti degli organismi europei e degli “investitori” (Goldman Sachs, Merryl Linch e onorata compagnìa), con diritto di vita e di morte sulle sorti dei debitori, degli Stati debitori, dei Popoli debitori.

Ma, mentre le comuni banche centrali stampano privatamente i loro soldi e li prestano agli Stati, questa sorta di super-banca si fa dare i soldi dagli Stati, e – cosa che la differenzia dalle comuni “centrali” – li impiega a beneficio dei suoi privati interessi. È un meccanismo da Santa Inquisizione, che vuole estorcere con la tortura (in questo caso con il massacro sociale) agli inquisiti (in questo caso ai popoli) l’ammissione di colpe che non sono colpe (in questo caso l’aver fruito di un decente tenore di vita).

A noi italiani, questo maleodorante regalo l’ha confezionato il non rimpianto primo gabinetto di Re Giorgio (il governo Monti), beninteso con la ratifica parlamentare di una maggioranza di “larghe intese” PD-PDL. E a noi italiani il sedere nel consiglio d’amministrazione di quella bancaccia è costato 125 miliardi di euro, equivalenti più o meno a cinque manovre annuali di bilancio.

Ma, a parte i costi astronomici (di cui qualcuno spero sarà un giorno chiamato a rispondere), sono gli effetti del MES ad essere mefitici. Infatti, il semplice fatto di essere ammessi ai prestiti del Meccanismo, comporta automaticamente il commissariamento degli Stati richiedenti e dei loro sistemi economico-sociali, con la perdita di ogni residua traccia di sovranità nazionale sopravvissuta alle “magnifiche sorti e progressive” dell’Unione Europea e dell’infamia della globalizzazione finanziaria. Anche i parlamenti perderebbero la loro sovranità, non potendo legiferare in alcunché che possa trovarsi in contrasto con quella che diventerebbe la priorità assoluta: la restituzione dei capitali avuti in prestito (e dei relativi interessi). Gli Stati verrebbero di fatto commissariati dai superbanchieri, e verrebbe inibita loro anche l’ordinaria amministrazione (giustizia, sanità, ordine pubblico, eccetera) se non subordinatamente al pagamento dei debiti.
È, più o meno, quello che è successo alla Grecia, e che qualcuno – a Wall Street, ma anche a Bruxelles e a Berlino – vorrebbe riproporre anche in Italia.

Ecco perché, per scongiurare un tale pericolo all’Italia serve comunque un governo che – come suol dirsi – sia nella pienezza dei poteri. Fosse anche un bizzarro governo Gentiloni, con un Angelino Alfano addirittura promosso al rango di Ministro degli Esteri. Incredibile ma vero.

Michele Rallo – ralmiche@gmail.com

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