L’illusione democratica… – Chi controlla realmente la politica?

Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone nel proprio interesse riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività.

Le elezioni e i plebisciti mettono in gioco frazioni marginali e geograficamente limitate di questo potere, frazioni inidonee a mutare gli equilibri, soprattutto su scala globale, mentre spesso suscitano aspettative elevate e sproporzionate nelle popolazioni. Così come i partiti politici antisistema o rivoluzionari o semplicemente innovatori.

A questa realtà non ci siamo ancora aggiornati: siamo inclini ancora oggi a pensare che i policy-makers, i decision-makers, siano tuttora gli Stati, i governi, i parlamenti – ma non lo sono più da molto tempo. Siamo portati a pensare e a promettere: “prendiamo la maggioranza assoluta e aggiustiamo le cose per il Paese” – ma non è così che le cose funzionano: i vincoli e i poteri esterni sono ampiamente preponderanti e dettano ciò che puoi e ciò che devi fare, e se non ottemperi ti fanno cadere, mobilitando mass media e giustizia.

Naturalmente vi sono anche vincoli interni, come appare evidente nel caso del concentrico boicottaggio alla sindaca Raggi, in quanto minaccia i pingui redditi illeciti di un certo, consolidato sistema di gestione di Roma. Anche per cambiare le cose in una città non basta avere la maggioranza in consiglio comunale e le competenze tecniche: bisogna fare i conti con interessi consolidati appoggiati da ampi settori istituzionali, mediatici e “religiosi”.

Tecnicamente e obiettivamente parlando, i metodi per risanare il sistema bancario italiano e per rilanciare l’economia con idonei finanziamenti di ampio respiro, sono disponibili e descritti in articoli e saggi miei e di altri studiosi. Ma, per introdurre riforme, bisogna fare i conti con l’oste – una cosa di cui alla gente non si parla mai…

Chi avanza proposte di riforma di qualche rilevanza, soprattutto in ambiti economico-finanziari, geostrategici, scientifico-tecnologico (soprattutto energetici), dovrebbe preliminarmente verificare se il predetto consenso vi è o non vi è – il c.d. Washington consensus (e Berlin consensus), esponente degli interessi di quell’establishment finanziario-militare-politico che già Dwight Eisenhower indicava come incompatibile con la democrazia e che ancora prima Charles Wright Mills denominò “power elite”.

Sono cose di cui non si parla mai, perché si fanno i conti senza l’oste e perché discuterne è sgradevole, scabroso; ma chi avanza tali progetti in Italia, in particolare e in aggiunta, dovrebbe verificare preliminarmente quali siano gli spazi di manovra consentiti all’Italia dai vincoli esterni, e in primo luogo dai trattati di pace e relativi protocolli anche riservati, seguiti alla fine della II GM, e configuranti per l’Italia una sovranità limitata in subordinazione agli USA.

Tengasi anche presente che, come recentemente emerso, ogni cancelliere tedesco, prima di assumere il suo ufficio, deve sottoscrivere la Kanzlerakte, ossia un impegno di obbedienza alla Casa Bianca; e che un protocollo riservato del trattato di pace con gli USA attribuisce a questi la Medienhoheit, ossia la sovranità sui mass media tedeschi.

Vi possono essere, e abbiamo concrete evidenze che vi siano, obblighi verso gli USA che impongono all’Italia di restare inefficiente in determinati settori e di subire, nascondendolo all’opinione pubblica, prelievi di ricchezza e di altri assets da parte degli USA o di loro soggetti imprenditoriali.

Ad esempio, negli anni ’90 i governanti italiani – costretti o corrotti – hanno stipulato con primarie banche statunitensi contratti derivati IRS del tipo “banca vince se tassi calano” quando già era determinato che sarebbero calati; quindi l’Italia, il contribuente italiano, sta pagando centinaia di miliardi di perdite su questi contratti, e questi pagamenti chiaramente costituiscono la corresponsione di un tributo alla potenza vincitrice da parte del paese sconfitto e sottomesso. In appendice spiegherò in dettaglio queste porcate dei nostri politicanti sempre legittimati a farne di nuove, anche grazie all’”Europa”.

Altri esempi, altre manifestazioni di vincoli di subordinazione agli USA, sono l’acquisto dei costosissimi e difettosi F35 e la partecipazione anti-costituzionale a guerre di aggressione in Iraq, Afghanistan, Libia, contrarie agli interessi italiani, soprattutto l’ultima, ma enormemente utili, profittevoli, ai magnati del petrolio e degli armamenti d’oltre Atlantico. E non dimentichiamo che Enrico Mattei fu ucciso mentre, come presidente dell’ENI, disturbava il cartello petrolifero angloamericano.

L’indurre destabilizzazioni finanziarie, civili e politiche nei vari paesi della loro zona di influenza, a scopo di sottometterli e sfruttarne le risorse, è una prassi costante delle multinazionali americane, come ben illustrato e documentato da uno dei principali esecutori di questa, John Perkins, nel saggio Confessions of an Economic Hit Man, e in altri scritti e conferenze. In termini di morale comune, e anche nei termini morali applicati dagli USA agli altri paesi, gli USA, o meglio il loro establishment, è uno stato-canaglia, anzi di gran lunga il massimo stato-canaglia del pianeta. Però la sua forza imperiale e il suo controllo dell’informazione gli consente di non apparire tale, in superficie.

Anche rispetto alla Germania risultano sussistere vincoli di subordinazione per l’Italia: il subire la sistematica violazione delle regole fiscali europee, il subire lo shopping delle sue aziende migliori, l’aver subito passivamente l’attacco ai btp per imporre il regime change nel 2011 con la leva dello spread, l’aver rinunciato a una vantaggiosa riforma su pressione di Kohl, come ho raccontato nel capitolo Storia di un tentativo del mio saggio Polli da spennare (Nexus 2008), riportato in appendice.

Ecco, questa è la doverosa premessa: i metodi di risoluzione del problema sono disponibili, ma bisogna prima verificare che all’Italia sia permesso di risolvere questi problemi e di uscire dalla crisi con questi metodi – verificare cioè che la crisi, anzi la recessione-stagnazione, assieme all’inefficienza nazionale, non sia voluta e imposta dall’estero, dai paesi amici e alleati, per fini abbastanza chiari di approfittamento e competizione. Dal 1981 in poi, e particolarmente dal 2011 in poi, i governi italiani hanno inanellato una serie di operazioni a danno dell’Italia e a vantaggio di altri paesi e del settore bancario internazionale. Quindi l’ipotesi che vi siano vincoli e obblighi esteri di quel tipo è più che giustificata.

Se risulterà che ci sono e che non permettono le progettate riforme, allora è inutile insistere nel portarle avanti, mentre è utile concentrarsi sul montare una vasta campagna globale di informazione su quei vincoli, sulla loro dannosità, sulla loro iniquità, al fine di suscitare una reazione di scandalo e discreditamento mondiale degli USA come potenza globale e della Germania come potenza continentale, che faccia, se possibile – ripeto: se possibile-, saltare quei medesimi vincoli di subordinazione, cioè che costringa questi due paesi a rinunciare ad essi per poter mantenere una certa autorevolezza e legittimazione ai loro ruoli di potenza e policing.

Marco Della Luna

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