Matteo Renzi, un referendum di troppo…

Renzi verso la sconfitta referendaria. Cosa aspettarsi?

*All’avvicinarsi del referendum costituzionale, Giorgio Napolitano è
tornato in campo, chiedendo di mettere fine “all’assurdo stato di
belligeranza” sulla consultazione: si tratta di un disperato tentativo di
depoliticizzare un appuntamento su cui Matteo Renzi, sicuro della vittoria,
aveva scommesso tutto solo pochi mesi fa. La trappola del plebiscito, sì o
no sulle politiche dell’esecutivo, è però scattata e l’alta probabilità di
una bocciatura della riforma rischia di scatenare uno choc persino maggiore
della Brexit. Nei circoli euro-atlantici serpeggia il panico: l’appello
dell’ambasciatore John Phillipps a sostenere il “sì” segna l’inizio della
campagna per ribaltare l’esito della consultazione: dopo i brogli alle
presidenziali austriache e l’omicidio della deputata Jo Cox, c’è da
aspettarsi di tutto.*
Renzi nella trappola del plebiscito

*Un’accusa che alcuni osservatori rinfacciano giustamente all’Italia
è l’eccesso di esterofilia: è l’abitudine, assai diffusa tra la classe
dirigente nostrana ed i cosiddetti “intellettuali”, a considerare
l’Italia propaggine dell’Occidente, eternamente alla rincorsa delle grandi
tendenze che nascono e maturano in Europa e negli Stati Uniti. Così, anche
quando l’Italia si colloca all’avanguardia di una corrente storica e
culturale, quasi nessuno se accorge, proprio come sta avvenendo in queste
settimane.*

*Il nostro Paese, infatti, è attualmente la punta di diamante del processo
che, iniziato in Europa subito dopo l’introduzione dell’euro, si è
allargato agli Stati Uniti d’America, schiudendo scenari fino a pochi anni
fa impensabili, come l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Si tratta
della ribellione del popolo contro le élite, che sta scuotendo le
fondamenta dell’Occidente: è un sommovimento di massa contro la finanza
onnipotente, contro l’immigrazione senza freni ed il politicamente
corretto, contro la globalizzazione selvaggia, contro l’impoverimento della
classe media a vantaggio di una sparuta minoranza, contro le prevaricazioni
di quella oligarchia che siede ora negli uffici di Bruxelles, ora nel
consiglio d’amministrazione di Goldman Sachs (ne sa qualcosa
l’ex-commissario europeo José Barroso).*

*Dopo aver a lungo riposto le speranze nei successi del Front National
, nella
bocciatura olandese all’accordo di associazione tra UE ed Ucraina
,
nelle fortune di Alternativa per la Germania, nell’annullamento delle
presidenziali austriache, nella clamorosa vittoria della Brexit
,
è giunta, finalmente, l’ora dell‘Italia, che riacquista la sua centralità europea ed
internazionale: questa volta gli altri staranno alla finestra e spetterà
loro uniformarsi alle nostre decisioni. Grandi banchieri ed euro-burocrati,
BCE ed FMI, Washington e Berlino, si arrovellano in attesa che l’Italia si
esprima, perché la posta in gioco è alta, altissima: travalica i confini
nazionali ed abbraccia l’intero sistema euro-atlantico.*

*Ci riferiamo, ovviamente, all’imminente referendum costituzionale, così
temuto che è stato posticipato il più possibile e tutt’ora non se ne
conosce la data (da collocarsi, ad ogni modo, tra la fine di novembre e
l’inizio di dicembre).*

*Sinora nessuno ha esplicitato meglio le paure che serpeggiano tra
l’oligarchia atlantica che il premio Nobel Joseph Stiglitz, economista che,
come Paul Krugman, occupa l’ala sinistra dello schieramento accademico
foraggiato dall’alta finanza. Intervistato a fine agosto in occasione della
presentazione del suo ultimo libro, Stiglitz ha affermato1
:*

*“L’Italia costituisce un grande rischio. Molti stanno lavorando
affinché Matteo Renzi desista dalla sua promessa di dimettersi se il
referendum fallisce (…). C’è un argomento per convincerlo a non tenere il
referendum e cioè dire che la Brexit ha portato a un cambiamento radicale
del dibattito sul futuro della democrazia in Europa, e che dobbiamo
esaminare nuovamente quelle questioni (…) La mia sensazione è che per tutti
coloro che vogliano evitare un risultato disastroso, la necessità primaria
è quella di fare marcia indietro. Altrimenti ci dirigeremo verso un altro
cataclisma”.*

*Cancellare il referendum, previsto dalla Carta, sulla riforma della
Costituzione stessa?*

*Non c’è alcun dubbio che il pensiero sia balenato nella testa di Matteo
Renzi, di Giorgio Napolitano e di Barack Obama, ma a tutto c’è un limite:
si tratterebbe di una forzatura istituzionale persino più grave del golpe
con cui Silvio Berlusconi fu spodestato nel 2011

e
più clamorosa della manovra, tutta extra-parlamentare, con cui si
defenestrò Enrico Letta per installare “il rottamatore” a Palazzo Chigi. Si
renderebbe evidente che qualsiasi consultazione, non solo può essere
sovvertita nei meandri dei palazzi, ma addirittura cancellata se sgradita
alle élite.*

*E poi Matteo Renzi si è troppo speso, ha investito troppo capitale
politico, per tornare sui suoi passi: la macchina è stata messa in moto e
nessuno, ormai, può più fermarla.*

*Nessuno, certo, si aspettava nella primavera del 2016, quando la riforma
Boschi è approvata in Parlamento a colpi di maggioranza, che
all’avvicinarsi del referendum i sondaggi assegnassero ai “no” un vantaggio
diotto punti percentuali2
:
si era accarezzata, è vero, all’inizio del 2016 l’idea di sbarazzarsi
preventivamente del “premier cazzaro” a causa degli scarsi risultati
ottenuti sul piano economico e di qualche insofferenza anti-austerità (ne
erano seguite le polemiche di Renzi contro gli “illuminati” e si era
rinvangato il golpe del 2011, convocando addirittura l’ambasciatore
americano, coll’obiettivo di scongiurarne uno nuovo
),
ma, alla fine, tutto si era ricomposto.*

*Accettando incondizionatamente le direttive euro-atlantiche su Libia, caso
Regeni e vincoli di bilancio, Matteo Renzi era riuscito a conservare la
presidenza del Consiglio, benché fosse chiaro a tutti, e specialmente alla
City inglese
,
che la sua stella si stesse appannando: il grande rilancio, nei calcoli del
premier, avrebbe dovuto essere proprio il trionfo del “sì” al referendum
sulla riforma costituzionale.*

*È la fase del “se perdo il referendum sulle riforme lascio la politica”3
,
quando la certezza di una vittoria senza difficoltà, induce il premier a
personalizzare al massimo l’appuntamento referendario, così da
ricevere quell’investitura popolare che non ha mai avuto (il suo ultimo
bagno elettorale risale alle comunali di Firenze del 2009!) e rilanciare
l’azione di governo fino alle legislative del 2018. L’azzardo del premier,
trasformare cioè il referendum in vero plebiscito sulla persona, un sì o un
no come nel regime bonapartista, si fonda sulla presunzione che
l’elettorato voti positivamente attratto dagli aspetti più “anti-politici”
della riforma, su cui non si smette di porre l’accento: è la
diminuzione del Senato, ridotto a ruolo consultivo, da 315 a 100membri, il
taglio delle indennità parlamentari e l’accorpamento dei servizi di Camera
e Senato, sufficienti, insiste l’esecutivo, a risparmiare 500 € annui (50
€mln, secondo gli addetti ai lavori).*

*Il connotato antipolitico della riforma, “la rottamazione del Senato”, è
in verità uno specchietto per le allodole, utile soltanto ad accattivarsi
l’elettorato e spingerlo verso il “sì”: ciò che preme a Matteo Renzi, a
Washington, a Bruxelles ed ai potentati economici che tirano i fili del
sistema (le varie JP Morgan, Goldman Sachs, etc.) è invece l’abolizione del
bicameralismo perfetto, abbinata ad un legge elettorale, l’Italicum, che
consenta la piena governabilità al partito di maggioranza relativa, anche
qualora non superasse il 20-25% del corpo elettorale.
*

*Sia ben chiaro: l’oligarchia finanziaria non è interessata alla stabilità
degli esecutivi ed alla semplificazione dell’iter legislativo per il bene
dell’Italia. La ratio della riforma costituzionale è, invece, garantire la
governabilità di un Paese strategico per l’eurozona e gli equilibri
mediterranei, nonostante le politiche d’austerità e l’impoverimento
incessante della società, evitando così uno scenario simile alla Spagna
dove da otto mesi si cerca invano di formare un esecutivo. Il Fondo
Monetario Internazionale stima infatti in vent’anni il periodo di tempo
necessario all’Italia per raggiungere i livelli occupazionali pre-crisi4
:
una
depressione economica così lunga da rendere indispensabili governi
semi-autoritari che, pur non godendo di consensi non superiori ad un quarto
dell’elettorato, attuino anno dopo anno le “riforme strutturali” di
impronta neoliberista.*

*È questa la chiave di lettura per interpretare la presa di posizione di JP
Morgan contro le costituzioni del sud Europa, scritte dopo la caduta dei
regimi fascisti e di ostacolo, secondo il colosso di Wall Strett, per una
maggiore integrazione europea5
.*

*Se, come facilmente prevedibile, l’abolizione del bicameralismo perfetto è
l’ultimo pensiero degli italiani negli attuali frangenti, neanche che lo
sfoltimento dei senatori scalda il cuore degli elettori: l’unico messaggio
lanciato dal premier che attecchisca, malauguratamente per lui, è quello
del plebiscito sul governo.*

*Agli italiani si presenta l’occasione imperdibile di esprimere un sì od
uno sul governo Renzi: il referendum costituzionale, da passeggiata tutta
in discesa, degenera in un incubo per l’esecutivo man mano checatalizza
tutto il malessere dell’elettorato: fiscalità alle stesse, crisi economica
senza fine, disoccupazione, risparmi volatilizzati, immigrazione selvaggia.
Il referendum è un’inaspettata opportunità di ribellione, uno strumento a
disposizione dell’elettorato per esprimere tutto il proprio disprezzo verso
la classe dirigente italiana e le oligarchie di Bruxelles, responsabili
delle condizioni sociali sempre più precarie.*

*A metà giugno, dopo la spia d’allarme accesa dalla clamorosa sconfitta del
PD a Torino e Roma
,
circolano le prime voci che Renzi intenda rinunciare alla dimissioni anche
in caso di vittoria del “no”; la Brexit e la conseguente caduta di David
Cameron, accelerano il processo di “depersonalizzazione” del referendum:
qualsiasi sia l’esito della consultazione, sostiene ora Renzi, niente
elezioni anticipate; gli dà manforte Maria Elena Boschi, che ha prestato il
nome ed il leggiadro volto alla riforma: “Con referendum non si decidono
sorti del governo o del Pd”6
.
La
reazione, però, è troppo tardiva e superficiale perché la percezione che ha
l’elettorato del referendum, un plebiscito sul governo Renzi e sulle sue
politiche, possa cambiare: la fine del rottamatore, “the last hope for the
Italian elite” secondo il Financial Times, incombe.*

*Dopo il clamoroso referendum olandese che ha bocciato l’accordo di
associazione tra UE ed Ucraina, l’annullamento delle presidenziali
austriache vinte con la frode dall’europeista Alexander Van der Bellen, ed
il referendum inglese che ha sancito l’uscita di Londra dall’Unione
Europea, la caduta di Renzi rischia di assestare il colpo di grazia ad
un’impalcatura, quella euro-atlantica, sempre più fragile e malconcia. Che
piega pretenderà la campagna referendaria nell’attuale contesto
politico, sempre più torbido?*
La vittoria del “no”: uno choc da evitare a qualsiasi costo

*Per afferrare la portata del referendum costituzionale, bisogna
comprendere qual è la vera funzione di Matteo Renzi e qual è l’effettivo
stato di salute dell’economia italiana, peso massimo dell’eurozona: solo
così è possibile quantificare l’impatto della probabile vittoria del “no”.*

*Matteo Renzi, pur avendo un profilo più simile a Silvio Berlusconi che
a Mario Monti (i suoi patrocinatori sono i neocon ed Israele ed è probabile
una sua vicinanza/affiliazione al Grande Oriente di Francia, mentre “il
professore” e Mario Draghi sono espressione dell’establishment liberal ed
appartengono alle più blasonate logge inglesi ed americane), è stato in
questi ultimi due anni l’agente dell’alta finanza, incaricato di attuare,
camuffate col graffiante concetto della “rottamazione”, le stesse ricette
della Troika applicate in Grecia: deregolamentazione del mercato del lavoro
(Job Acts), svalutazione interna (deflazione), privatizzazioni (da Poste
Italiane a Enav) ed apertura ai grandi capitali (vedi la posizione
dominante assunta da JP Morgan nel dossier Mps).*

Federico Dezzani
http://federicodezzani.altervista.org/

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