Crisi sistemiche e cause di guerra permanente – Il caso dello stato kurdo nel nord della Siria

Le crisi sistemiche finora sono sempre sfociate in guerre mondiali. Approfittando delle guerre mondiali e del conseguente indebolimento delle èlite mondiali, i partiti comunisti organizzati come organizzazioni combattenti – e non come osterie in cui si parla di tifo a favore di squadre che stanno simpatiche magari solo per i colori della maglietta – hanno sferrato i loro attacchi rivoluzionari. Partito Bolscevico durante la Prima Guerra Mondiale e Partito Comunista Cinese durante la Seconda. Entrambi questi partiti erano molto attenti ai rapporti con le nazionalità che venivano coinvolte nella loro azione. Nessuno di questi partiti si è mai messo dalla stessa parte degli imperialismi all’attacco, nonostante le stupidaggini che vengono periodicamente dette (a sinistra come a destra) ad esempio sul famoso treno blindato prussiano su cui viaggiava Lenin.

Ora, a me sembra che i gruppi dirigenti dei Curdi siriani, i gruppi che hanno preso il sopravvento intendo, abbiano iniziato un gioco sia sporco che molto azzardato. Parlo di gruppi dirigenti che hanno avuto il sopravvento, perché ho la netta sensazione che non tutti i dirigenti curdo-siriani siano o siano stati d’accordo con l’andazzo preso. Quando gli USA lanciarono l’operazione “Forze Democratiche Siriane”, alti dirigenti curdi dissero apertamente che erano contrari alle mire e alle mene statunitensi, come ad esempio andare a “liberare” Raqqa, mentre erano attenti ai negoziati con Damasco mediati dalla Russia.

Ma evidentemente ha vinto la linea dell’accodamento alla politica imperialista statunitense col miraggio di un ampio e illegittimo “stato curdo” nel Nord della Siria. Ampio e illegittimo, perché, voglio ricordare, i curdo-siriani sono una piccolissima minoranza ampliata grazie alla politica di accoglienza di Damasco a favore dei curdo-turchi. D’altra parte tutti sanno che uno “stato curdo” nei territori effettivamente curdi della Siria potrebbe sopravvivere solo se si tramutasse in una tristanzuola Las Vegas mediorientale, dato che sarebbe del tutto privo di risorse naturali ed economiche. Ecco allora la necessità di occupare vaste aree e città siro-arabe, ovvero di iniziare occupazioni illegittime al seguito dell’imperialismo all’attacco.

Mal gliene colse, perché il vicepresidente USA, Joe Biden, ha già rivenduto i Curdi ad Ankara, preoccupato delle mosse turche verso la Russia.

Se si vuole manifestare in piazza, l’unico motivo sarebbe quello di protestare contro le manovre di frantumazione di uno stato sovrano che si chiama Repubblica Araba di Siria, manovre in cui i “democratici, socialisti e femministi” curdi sono impelagati fino al collo. Attaccare l’esercito siriano per conquistare città siro-arabe contando sulle minacce americane a Russia e Siria è una vigliaccata che la dice lunga su tutta la situazione in Medioriente.

Chi in una situazione come questa afferma che bisogna lasciar perdere la “geopolitica” per rifugiarsi nella contemplazione del “rapporto lavoro-capitale” – ma in realtà della sua edulcorazione dirittumanista, lgbtizzante e democraticistica (ovvero nella sua versione propagandistica filoimperiale postmoderna) – per me è un imbecille. Mi dispiace usare questi termini, ma non ne posso più. La situazione è troppo seria e pericolosa per potermi ancora concedere di fare il “signore”. A me della Geopolitica con l’iniziale maiuscola non interessa un fico secco. Ma non capire che il termocapitalismo occidentale è nato e si è sviluppato in tandem con l’imperialismo e che in questo momento storico è il termocapitalismo occidentale ad essere in crisi e quindi ad essere all’attacco imperialistico, vuol dire non capire assolutamente nulla. E innazitutto vuol dire non capire assolutamente nulla del reale rapporto capitale-lavoro, che è proprio sulla canna di quel tandem che viaggia, non nel vuoto di concetti astratti.

Piotr

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