Roma, 13 ottobre 2015 – Renzi come Caligola… farà la stessa fine?

Lunario Paolo D'Arpini 14 ottobre 2015

renzie caligola

Caligola fu un imperatore molto originale, che amava la vita comoda e optava frequentemente per soluzioni decisionali, tanto che dopo un periodo in cui godette dell’appoggio dei senatori, questi si stufarono e tramarono per la sua morte. Caligola però si rese conto della tresca, quindi decise di nominare senatore a vita il suo cavallo preferito, poi fece costruire un tempio e si fece proclamare dio, ma ciò non lo salvò da una fine ingloriosa, fu brutalmente trucidato da alcuni membri della sua stessa guardia pretoriana.

Paragonare renzie a Caligola è un’offesa al dio-imperatore, che in fondo qualche merito lo ebbe: diminuì le tasse al popolo e moderò le spese della macchina militare. Ma l’idea del cavallo nominato senatore dev’essere piaciuta al “rottamatore” che infatti ha ristrutturato il senato in modo da potervi inserire i suoi “nominati”, equini o suini che siano.

Il 13 ottobre 2015 il Senato, già pieno di nominati dai partiti (in seguito alla legge del “porcellum”), ha approvato il ddl Boschi: 179 sì, 16 contrari, 7 astenuti. Ricordate questa data, da oggi la dittatura è conclamata. Il nominato per eccellenza, figlioccio adottivo dell’ex regnante al quirinale, ottiene la deificazione. Niente più elezione diretta dei senatori. Ci penserà il partito per eccellenza, quello unico (composto da 179 yes men), accorpato da destra a sinistra “per il bene della nazione”, a scegliere i futuri “senatori”: li pescherà nella classe dirigente più inquisita del Paese, quella dei consiglieri regionali ed altre categorie equiparate. E lì, blindati con l’immunità parlamentare, verrà loro conferito il potere di mettere mano alla Costituzione.

Dopo il voto voluto da renzie: baci, abbracci, sorrisi, pacche sulle spalle, vigorose strette di mano e sonora acclamazione per Verdini, per Alfano, per renzie, per il cavaliere, per il cavallo… Poi tutti fuori a cena, a far baldoria (come sarebbe piaciuto a Caligola), mentre tv e giornali diffondono il verbo unico a reti unificate…”

Ma qualcosa da aggiungere ce l’avrei. Questa, come tutte le altre “riforme”, non è stata pensata dal “nominato” mai eletto, costui non ha l’intelligenza per arrivare a definire i sottili modi per scardinare la democrazia facendo finta di alleggerire la burocrazia. L’abolizione del senato, come l’abolizione delle province, dell’art. 18, l’approvazione della “nuova” legge elettorale, etc., serve a meglio sottomettere lo stato ai veri poteri, quelli delle multinazionali, della grande finanza e delle banche, che ormai dominano il mondo. Sono questi poteri che in verità manovrano i pupazzetti imbelli agghindati da presidenti, deputati, senatori… una congrega di nominati, buoni solo ad essere montati ed etero-diretti dove il “badrone” vuole.
Ma non è renzie, lui è un semplice “stalliere”…

Paolo D’Arpini

politica zoccola

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Articolo tecnico sul nuovo senato:

Funzioni ridotte e meno poltrone ma l’80% dei costi del Senato resta

Oggi il via libera di Palazzo Madama alla riforma costituzionale

È arrivato il «giorno X». Il Senato ha dato il via libera al ddl che segnerà la più importante modifica della Costituzione dalla sua nascita, ponendo fine al bicameralismo paritario. Non sarà il via libera definitivo del Parlamento, perché ci vorranno altri tre passaggi. Saranno votazioni formali: la sostanza del testo – salvo imprevisti – non verrà toccata. Il vero scoglio arriverà tra un anno, quando i cittadini diranno la loro votando al tanto atteso referendum.

Rispetto alla versione iniziale, il testo è molto diverso e gli ultimi ritocchi – in particolare sulla semi-elettività dei senatori – sono frutto dell’accordo che ha riportato la pace nel Pd. Avremo un Senato composto da sindaci e consiglieri, con funzioni limitate, un’unica Camera che legifera e vota la fiducia. Più poteri al governo, che potrà chiedere tempi certi per l’approvazione dei suoi ddl. Capitolo risparmi: resteranno molti costi fissi, circa l’80%, che nemmeno questa riforma potrà abbattere.

«Finisce il bicameralismo paritario»: che significa?

Oggi Camera e Senato hanno le stesse, identiche, funzioni. Con la riforma, la Camera continuerà a votare le leggi e a svolgere le funzioni di indirizzo e di controllo politico – per esempio votando la fiducia al governo -, ma lo farà in maniera esclusiva.

E il Senato cosa farà?

Non voterà più la fiducia e la sua funzione legislativa sarà drasticamente ridotta. Non avrà più competenza sulle leggi ordinarie. Potrà solo chiedere delle modifiche, ma il suo parere non sarà vincolante. Resta la competenza concorrente, tra Camera e Senato, in alcune materie specifiche, come le leggi elettorali, le leggi costituzionali e la ratifica dei trattati dell’Ue. Avrà una funzione di raccordo tra lo Stato e gli enti locali. Per questo sarà composto da amministratori: 74 consiglieri regionali e 21 sindaci. Ci saranno poi 5 cittadini nominati dal Presidente della Repubblica.

Saranno i cittadini a eleggere i 95 senatori?

La risposta è «nì». Durante le elezioni regionali, i cittadini esprimeranno la loro preferenza, indicando chi vorranno mandare in Senato (una legge ordinaria, ancora da approvare, regolerà questo meccanismo). Ma poi saranno i consigli regionali ad eleggere i futuri senatori, in proporzione alla loro composizione politica.

I senatori avranno un’indennità?

No, riceveranno solo quella da sindaco o da consigliere. Avranno però l’immunità.

Quanto risparmierà il Senato con la riforma?

Non è facile dirlo. Ma proviamo a fare due calcoli: nel 2014 le spese del Senato ammontavano a 501 milioni di euro. Di questi, circa 98 milioni vanno ai senatori (41 milioni per le indennità, 36 milioni per i rimborsi spese e 21 milioni per i contributi ai gruppi parlamentari). Altri 9 milioni vanno al personale addetto alle segreterie particolari. Questi costi saranno praticamente azzerati. Ci sono poi le spese di funzionamento, che oggi pesano per 44 milioni: qualcosina si risparmierà anche da qui, ma certamente non tutto.

A spanne, restano ancora circa 380-390 milioni…

Eh sì, perché ci sono alcuni costi che non potranno essere azzerati. Almeno non nell’immediato. Parliamo per esempio delle pensioni degli ex senatori (80 milioni), del costo del personale (151 milioni) e delle pensioni degli ex dipendenti (120 milioni).

Cos’altro cambia con il ddl?

Cambia il Titolo V della Costituzione: sono state definite in modo più netto le materie di competenza legislativa dello Stato da quelle delle Regioni. È stato anche rivisto il quorum per i referendum (si abbassa se aumenta il numero di firme presentate) e sale il numero di firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare (da 50 mila a 150 mila). Vengono inoltre aboliti definitivamente il Cnel e le Province.

Chi eleggerà il Presidente della Repubblica?

I deputati e i senatori in seduta comune. Per i primi tre scrutini servono i due terzi dei componenti; dal quarto si scende ai tre quinti degli aventi diritto; dal settimo basterà la maggioranza dei tre quinti dei votanti.

Cosa succede adesso?

Ora il testo della riforma dovrà tornare alla Camera. In caso di via libera senza modifiche si concluderà la prima lettura. Poi dovrà essere nuovamente approvata dal Senato e infine ancora della Camera. A quel punto, come annunciato, ci sarà il referendum.

DA LASTAMPA.IT – MARCO BRESOLIN

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