Canapa, proibizionismo, legalizzazione e libertà di coltivazione…

canapa libera

Molto ha fatto discutere la notizia di cronaca, apparsa su tutti i giornali, e ripresa anche dal nostro Giornaletto di Saul del 16 luglio 2015, in merito alla presentazione alla Camera, da parte di 218 parlamentari (di tutti i colori politici) di una proposta di legge per la legalizzazione della cannabis. Infatti i sondaggi mostrano che l’84% dei cittadini ritiene inutili le leggi proibizioniste e il 74% è favorevole senza indugi ad eliminarle. Ma – secondo me- non dovremmo parlare di legalizzazione bensì di liberalizzazione e non chiamarla cannabis, marijuana, etc. -dandogli l’accezione di “droga”- ma chiamarla con il suo nome comune: canapa. Solo la canapa esiste, un’unica pianta che a diverse latitudini e climi ha proprietà diverse… esattamente come l’uva… (come scritto nel mio articolo: http://www.terranuova.it/Blog/Riconoscersi-in-cio-che-e/Canapa-pianta-salvifica-perche-fu-proibita-in-Italia)

E sullo stesso tema mi scrive Tia Alba, una aderente al gruppo “erbe selvatiche commestibili”: “Il proibizionismo avvenne in due momenti, prima per il pubblico poi anche per i medici erboristi. Non ancora decenne mio padre dal laboratorio portava polline da bruciare in un braciere, innescato con un grano di incenso ed io dovevo aspirarne i fumi, oltre che assumere uno sciroppo schifosissimo. Col proibizionismo totale le crisi asmatiche divennero quasi incontrollabili. La canapa era il primo prodotto interno lordo, la prima voce di esportazione, ed eravamo i primi produttori mondiali. Fumarla è un abitudine abbastanza recente… La pianta della canapa in sé, come è ben spiegato nell’articolo menzionato, è una. Le differenze dipendono solo dal luogo di coltivazione e dalla selezione che nel tempo si è operata. Per esempio, la bolognina era pare la migliore canapa per i filani, ma non era una specie a sé, solo la selezione, le caratteristiche climatiche e chimico fisiche del terreno permettevano lo sviluppo di fusti eccellenti. I contadini che la coltivavano, ovunque, avevano come prodotto di scarto foglie e infiorescenze, e da buoni economi non andavano certo a comprare il tabacco, monopolio di stato di cui era vietata la coltivazione e di cui ogni foglia era impressa con un bollino, impossibile farne sparire anche solo una. Si accontentavano pertanto di ciò che avevano, sia lo scarto della canapa che, per esempio, le infiorescenze del castagno o “sigarette” di vitalba. Non mi pare che mio nonno fosse per questo un “drogato”. Poi botanicamente è “droga” qualsiasi principio attivo, ma non nell’eccezione che si da oggi a questa parola…”

Ed infatti fumare la canapa è in conseguenza dell’introduzione del tabacco. A partire dal novecento, pian piano, si è sparsa l’abitudine di fumare tabacco, sponsorizzata dallo stato (per ragioni economiche). Anche questa è una forma deviata di consumismo. Fumare la canapa non è corretto né salutare. Meglio se assunta per via orale. Persino in India, dove l’uso alimentare della canapa ha una tradizione molto antica, durante alcune feste religiose si distribuiva il Bhang che è un intruglio di infiorescenze di canapa, a mo’ di Prasad (comunione), ora i sadhu fumano tutto il dì… ma questo non è più un rito è semplice vizio.

Comunque sono tante le piante che hanno effetti medicinali e psicotropi e sono usate da tempo immemorabile da uomini ed animali. Se rientra in una “naturalezza” nulla è veramente nocivo. L’uso improprio ed esagerato e la dipendenza sono invece inopportuni. Come avviene per la “fame di cioccolata” ma ciò non significa che la cioccolata in se stessa debba essere proibita.

La legalizzazione proposta dai solerti deputati multicolori serve solo a creare un nuovo mercato consumista, come è avvenuto per il tabacco, sfruttando il vizio per ricavarne nuove tasse… Esemplificativa è la nota di alcuni politici contrari alla legalizzazione della canapa ma favorevoli a quella della prostituzione (sempre per ragioni di tassazione). Con il consumismo e la legalizzazione si giustifica l’esagerazione (basta pagare)…

Quindi – in ultima analisi- è più giusto ripristinare la totale libertà espressiva della canapa, sia in forma di vegetazione spontanea che in forma di coltivazione biologica. Per quanto riguarda il suo corretto uso alimentare -come avviene per qualsiasi altra erba o sostanza naturale- è più un fatto di “educazione” che di “regolamentazione”, poiché la dipendenza la da un cervello portato alla dipendenza, all’alcool, al sesso, alla coca cola… non la pianta in sé …

Paolo D’Arpini

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Commento di Elena: “Forse non sono aggiornata, ma io sapevo che la Canapa Sativa è già coltivabile, solo che si paga lo scotto di dover comunicare alla forza pubblica il proprio intendimento. Non c’ho provato, ma immagino le conseguenze, con tanto di carabiniere che viene a trovarmi a casa. Sbaglio?”

Mia rispostina: “Ritorniamo al discorso della “unica pianta”. La canapa sativa non è una specie diversa è solo la stessa pianta di canapa selezionata in funzione di ottenere fibra grezza. Tant’è vero che di tanto in tanto subentra il controllo della finanza negli appezzamenti ove viene coltivata per “analizzare” le caratteristiche presenti al momento. Le sementi vanno rinnovate annualmente, non possono cioè essere usati i semi prodotti dalle piante coltivate poiché potrebbero aver modificato i propri geni, su basi climatiche e ambientali, o mescolamenti con pollini “colpevoli” di trasmettere la produzione di cannabinolo od altre sostanze proibite. Non dimentichiamo infatti che la canapa ha piante maschi e piante femmine. Insomma funziona come per gli umani, la sativa è come un nero che “sembra” bianco per i continui interventi sbiancanti e di chirurgia plastica ma se si accoppia i figli nascono neri.” (Paolo D’Arpini)

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