Avventure di viaggio – Quando lo straordinario diventa ordinario nella terra d’India

In quel periodo abitavo sopra Kasol, in Parvati Valley, Himachal Pradesh.
Kasol era un piccolo centro, poco più di un agglomerato di qualche casa sulla strada che da Kulu portava a Manikaran, costeggiando il Parvati, il fiume che dà il nome alla valle di Parvati, moglie di Shiva. Eravamo pochi europei che in quel tempo avevamo casa a Kasol, credo non raggiungessimo nemmeno una decina di persone, ed eravamo tutti uomini dell’Himachal, quasi invisibili, con le nostre giacche in lana, il Topi in testa ed una coperta sulle spalle. In quegli anni quasi nessuno di noi sapeva se sarebbe tornato in Europa, qualcuno aveva venduto il passaporto e i più avevano il visa scaduto o contraffatto.

Scendevo in paese a fare spese e amavo sedermi al ciai shop principale, dove oltre che ad un ottimo ciai, servivano delle deliziose Parontha, una sorta di focaccia fatta da un chapati imbottito di patate e verdure, e altre tipiche prelibatezze. Inoltre al ciai shop incontravi sempre qualcuno o quando si fermava l’autobus che arrivava strombazzando, arrancando lento e colorato sulla stretta strada di terra battuta, non sapevi mai chi poteva scendere. Poteva essere un sadhu o qualche viaggiatore diretto a Manikaran, o qualche local con cui, davanti ad un ciai caldo, avevi sempre qualcosa da raccontare, da vendere, da scambiare o da comperare.

Al ciai shop, ogni tanto scendevano a piedi anche gli uomini di Malana, un villaggio più in alto, dove non era facile arrivare, soprattutto perché i Malani non gradivano intrusi non invitati. Li riconoscevi subito, soprattutto per le caratteristiche scarpe che usavano: delle ciabatte di paglia intrecciata che lasciavano aperto il tallone. A quel tempo tutti noi fumavamo charas e la charas di Malana era la più ricercata e richiesta ed essere invitato a Malana per alcuni poteva aprire la possibilità di acquistare e rivendere ai turisti la first quality di quell’hashish che in quegli anni veniva venduto anche nei negozi del governo, oltre alla ganja e l’oppio.

Avevo fatto ritoccare da poco la data di entrata in India sul mio passaporto da alcuni amici sardi, molto abili in questo, maestri della scolorina e dell’inchiostro!!! Modificavano ogni cosa, ogni tipo di timbro governativo, artisti della grafica del tempo con casa-bottega!!! A quel tempo i computer erano pochi e rudimentali, entravi in India, un timbro con la data e via. Potevi sparire per anni o per sempre, diventando un cittadino inglese o americano, dopo aver acquistato un passaporto, dove applicavi la tua foto.

Molti erano i modi per sopravvivere, per mangiare e viaggiare. I soldi si cambiavano al black market, dove spuntavi molto di più del cambio ufficiale, soprattutto se avevi dollari in banconote da 50 o da 100, quelle da 20 te le pagavano meno. Anche i marchi tedeschi erano graditi. I travel chek venivano puntualmente venduti dopo averne dichiarato lo smarrimento, per ottenerne altrettanti dalla compagnia che pubblicizzava la restituzione degli assegni in caso di furto o smarrimento. E così si aveva il doppio dei soldi.

C’era chi come me, commerciava in artigianato e argento, per non parlare delle pietre dure semi preziose che facevo poi montare dagli artigiani.

Sicuro del mio passaporto “nuovo”, salii sull’autobus per Kulu, dove avevo ordinato delle variopinte Patù, le coperte in lana Merinos che le donne dell’Himachal Pradesh usano come vestito. Kulu a quel tempo era piccola e deliziosa e da lì partivano i vari bus per Manali o verso Dharamsala o Delhi. Non so perché, ma forse a causa di un fatto increscioso che era successo da poco, proprio lì, ma la polizia locale era particolarmente attenta e rompiscatole. Un europeo aveva accoltellato un indiano per una sciocca diatriba sulla proprietà di un giubbotto di jeans e fermavano facilmente gli stranieri.

Scesi dall’autobus e mi incamminai verso il Bazar e lì seduti davanti ad una bottega, due poliziotti mi guardarono, mi chiamarono, sorseggiando ciai e mangiando biscotti. Notai subito il vecchio fucile Lee Enfield cal 303 British appoggiato al muro, ed una Lati (canna di bambù) che tenevano in mano e che usavano con molta facilità con i locali. TUM MARA GAU KIA E’? quale è il tuo paese?, rispondo AM MARA GAU ITALY E’. PASS PORT PLEASE. Aprii la mia borsa, dove oltre al mio coltello nepalese, avevo il chilum, due tola di charas (20 gr), la Lotha per bere e qualcosa da mangiare.

Presi la borsina rajasthana dove tenevo il passaporto e glielo diedi. PLEASE SIR. Dentro, alla pagina del mio ultimo visa, avevo già messo 20 dollari. Aprirono il passaporto, presero i soldi, mi restituirono il documento: JAO BHAI (vattene)! Ringraziai nel mio cuore Shiva e velocemente andai a vedere le mie coperte. Non erano terminate, il lavoro a telaio è lungo.

Decisi di pernottare fuori Kulu, non mi sentivo sicuro nemmeno nei Guest House, troppa tensione nell’aria.

Vidi il fuoco di un Duni vicino ad un piccolo tempio tra gli alberi. Mi avvicinai e trovai un gruppetto di saddhu intento alla preparazione del cibo. Salutai, mi inchinai e chiesi loro di poter passare la notte lì, vicino al fuoco sacro. Non mi risposero subito, ma al cenno di uno di loro, seduto davanti al tempio, mi dissero: ATCHA BHAI, BETO (va bene siediti). Per contraccambiare offrii qualche chilum di charas, che ogni Shivaita apprezza. Un grande piatto con riso e dhal venne appoggiato per terra e usando dei pezzetti di chapati come cucchiaio, ne mangiammo tutti.

Il Saddhu seduto davanti al tempio, ogni tanto lanciava dei bocconi sul tetto. Lo guardai stupito e chiesi al più giovane il perché. Mi rispose che stava offrendo il cibo a suo fratello che era sul tetto del tempio. Ma io non vedevo anima viva… Guardai bene il Saddhu dalla carnagione scura, il suo corpo ricoperto di cenere, i lunghi capelli intrecciati e raccolti sulla nuca, mai tagliati, una lunga collana di rudre al collo, le unghie spezzate… lo guardai e notai che il bianco dei suoi occhi, stava per diventare rosso e le sue pupille come fessure oblunghe, gialle…

Continuava a gettare cibo sul tetto del tempio. Un rumore ed apparve eretto, un Cobra, dagli occhi del medesimo colore di quell’uomo.

Effetto della charas? Forse, o forse no. In India ho visto Saddhu nudi sulla neve, in meditazione, scioglierla con il calore del corpo…

BOM SHIVA SHAMBO SHANKAR SHANTI PARVATI CHARSI CABINA MARSI ALEEK BOOM CILUM.

Fabrizio Prata

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