Dopo il Gezi Park – Quel che sta succedendo in Turchia raccontato da un turco

Il 28 maggio, ha avuto luogo un’iniziativa dei gruppi verdi contro la costruzione di un centro commerciale e una caserma in uno dei parchi più importanti della città di İstanbul, ovvero il Gezi Parkı. Per prevenire questo provvedimento, i manifestanti verdi hanno occupato il parco e hanno allestito un accampamento.

All’inizio la manifestazione era assai pacifica. I manifestanti hanno letto poesie e romanzi ai poliziotti, hanno cantato canzoni degli anni ’60 e hanno ballato per ore.

Tutto sembrava tranquillo fino all’incursione della polizia nel parco nelle prime ore del 30 maggio. Alle 5 di mattina, la polizia ha assalito gli accampamenti dei manifestanti bruciandoli e i manifestanti hanno dovuto evacuare la zona dopo uno scontro feroce.

In risposta, quasi tutti i partiti di sinistra, insieme ai residenti del quartiere di Taksim (uno dei quartieri più storici della città di Istanbul) hanno contestato l’attacco e hanno deciso di scendere in piazza. Alcuni partiti, come il Partito dei Lavoratori, il Partito Repubblicano del Popolo e il Partito della Libertà e della Solidarietà erano già lì anche prima dell’incursione, ma la brutalità della polizia ha giocato un ruolo importante nella trasformazione di una tranquilla manifestazione in una ribellione nazionale.

Il primo giorno della seconda fase delle manifestazioni, ovvero il 31 maggio, gli scontri erano tra la sinistra insieme ai residenti del quartiere di Taksim e la polizia. La polizia ha usato gas lacrimogeni ed acqua compressa sparata da blindati per sbaragliare i manifestanti che cercavano di entrare a Piazza Taksim. La lotta è durata per un intero giorno e si è arrivati ad un punto di stallo.

Qualche ora dopo, durante le prime ore del primo giugno, la lotta popolare è iniziata. Millioni di cittadini in tutte le provincie della Turchia, sono scesi in piazza per protestare contro la brutalità della polizia e migliaia di cittadini di Istanbul che abitano sulla costa asiatca hanno attraversato il ponte sul Bosforo a piedi, creando una scena gloriosa con la levata del sole allo sfondo.

Ma quale motivo ha ispirato tutta questa gente a manifestare? Se erano sempre così scontenti, perché non hanno agito prima? Perché i media occidentali definivano la Turchia come un “paese tranquillo”?

Sono domande difficili, però tutte hanno una risposta.

Un governo formato da un partito condannato

Innanzitutto, l’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo) , ovvero il partito del primo ministro Erdoğan, è un partito che è stato condannato da parte della Corte Costituzionale nel 2008 per avere “scopi politici contrari al fondamento laico della Repubblica”. Già nel 2007, prima delle elezioni generali, le associazioni kemaliste e laiche avevano organizzato “Le Manifestazioni per la Repubblica” attraendo millioni di cittadini ad ogni manifestazione. Allora la gente aveva mostrato la sua coscienza politica, indicando che “gli islamisti radicali in Turchia sono appoggiati dagli Stati Uniti” e che “la laicità della società è minacciata”. La storia le ha dato ragione però la vera oppressione non era stata testimoniata.

Gli arresti dei politici di opposizione, degli accademici laici e dei comandanti anti-NATO

L’anno 2007 ha visto una grande sconfitta elettorale per i progressisti in Turchia con la rielezione del partito di Erdoğan. Tutti pensavano che non potesse andare peggio, però subito dopo le elezioni, la Turchia è scossa da una serie di arresti conseguenti nel quadro dell’inchiesta Ergenekon che ha scelto come bersagli personaggi pacifici che si opponevano al Governo Erdoğan insieme ai comandanti che avevano rifiutato l’egemonia della NATO nella struttura militare dell’esercito turco. Secondo le accuse, questi personaggi avevano complottato un colpo di Stato per far cadere il Governo Erdoğan. Le accuse non sono mai state sostenute con prove concrete e perciò i personaggi che sono stati arrestati sono in prigione da più di cinque anni, senza essere stati definitivamente condannati.

Dopo l’inizio del Processo Ergenekon, le teorie di cospirazione “giuridiche” sono state allargate in modo tale che la Turchia è diventata il paese con il massimo numero di giornalisti in prigione (fino al 2013, ce n’erano più di cento) . Con questi processi “collegati”, il Governo Erdoğan ha tentato di sopprimere ogni voce di opposizione, sia nella sfera giornalistica, sia nella sfera politica, e siccome le accuse portate alla corte si basavano sempre su intercettazioni telefoniche, la gente ha cominciato ad avere paura di criticare il governo al telefono (infatti sono stati prodotti i telefoni cellulari che “non possono essere tracciati”: ovviamente, quei telefoni non avevano una tale caratteristica ma anche questa tattica commericale mostrava ampiamente il livello dell’oppressione sociale in Turchia).

Più religione nelle scuole e gli attacchi verso i valori repubblicani

Il Governo Erdoğan, seguendo l’esempio del Generale Kenan Evren che aveva guidato il colpo di Stato il quale aveva portato lezioni di religione obbligatorie anche nelle scuole pubbliche regolari, ha sempre teso ad aggiungere più lezioni di religione obbligatorie nel programma scolastico e con la nuova legislazione ogni studente deve seguire due corsi che riguardano l’insegnamento religioso fino all’università. Peraltro il governo ha sostenuto la trasformazione di tante scuole laiche in scuole religiose, forzando gli studenti a fare una scelta tra l’essere espulsi o il cominciare a seguire un programma religioso. Questo, ovviamente, ha fomentato la rabbia di tanti studenti e genitori, i quali hanno organizzato numerose manifestazioni contro questa legge.

L’ambizione di Erdoğan non si fermava qui. Dopo la sua terza vittoria elettorale ha cominciato ad attaccare le riforme repubblicane degli anni ’20 e ’30 (che avevano costruito le basi di uno Stato laico e socialista) nei suoi discorsi, e infatti due settimane fa ha implicitamente chiamato le due figure più importanti della Rivoluzione Turca, Mustafa Kemal Atatürk ed İsmet İnönü “un paio di ubriaconi”. Questo atteggiamento di Erdoğan è stato criticato rigorosamente da tanti scrittori progressisti in Turchia ed causando l’antipatia della popolazione laica.

La sfera economica: quale “boom” economico?

Nei media occidentali si è sempre parlato del “boom” economico della Turchia dopo la salita al potere di Erdoğan e dei suoi compagni. In realtà il “boom” non si è mai avverato, perché il Governo Erdoğan ha provato a coprire il debito pubblico vendendo gli enti di diritto pubblico a società multinazionali, allentando le norme di diritto del lavoro e privatizzando i costi. Perciò sulla carta la Turchia è sembrato un ottimo paese in cui investire, con una popolazione giovane e un’economia crescente, ma nessuno si è reso conto del fatto che il paese non godeva di una produzione interna di alto livello (ovviamente, una delle radici principali di questo fatto è che gli imprenditori turchi non hanno potuto concorrere con le imprese europee dopo l’entrata all’unione doganale dell’UE) . Peraltro, il debito corrente attuale della Turchia è più elevato di quello greco e il vero livello di disoccupazione è ben al di sopra del 10%.

Tutti questi provvedimenti hanno avuto un riflesso sulla società. Secondo l’ultima ricerca dell’Associazione dei Commercianti di Ankara, solo il 16% della popolazione vive al di sopra della soglia della povertà e il 14% della popolazione vive sotto il livello di carestia. Il governo ha provato a coprire tutti questi problemi con dei giochi finanziari e con l’imposizione della dottrina religiosa alle masse povere.

Il 2013: l’esplosione

Oltre ai problemi che ho menzionato, la politica estera recente del Governo Erdoğan non è stata vista bene dalla maggior parte della popolazione: la politica di ostilità verso il governo siriano ha creato tanti problemi commerciali nelle provincie meridionali, i gruppi terroristi appartenenti al “Libero Esercito Siriano” hanno attaccato le famiglie alavite e dopo gli ultimi attacchi a Reyhanlı (che hanno causato la morte di più di 100 persone) , Erdoğan è andato a Washington per chiedere il permesso di invadere la Siria invece di ascoltare i problemi del popolo. Sono state organizzate tante manifestazioni di massa per protestare contro questo atteggiamento di Erdoğan nel mese di maggio, però il governo è riuscito ad evitare la rabbia del popolo.

Per questi motivi, un popolo oppresso, silenzioso e apparentemente obbediente è diventato un’avanguardia rivoluzionaria contro un regime filostatiunitense con una piccola scintilla. Forse questo è il fatto più grosso che distingue il movimento popolare in Turchia dai movimenti della cosidetta “primavera araba” nel senso sociale e geopolitico, perché qui il movimento non è stato finanziato da centri di capitale occidentali e nessuno ha preso le armi.
Purtroppo, non si può dire la stessa cosa per la polizia che non ha esitato ad usare armi chimiche come l’agente arancio e a picchiare brutalmente i civili prima di arrestarli. Per di più, da due giorni la polizia ha anche sparato ai manifestanti: ieri la polizia ha sparato ai partigiani del Partito Comunista, ci sono stati quattro feriti e un morto.

… e oggi, un nostro compagno dell’Unione Giovanile di Turchia, Abdullah Can Cömert è stato ucciso da un poliziotto che gli ha sparato da dietro. Vi chiedo scusa perché quando ho iniziato a scrivere questo articolo, pensavo di trattare gli eventi in un modo più dettagliato nel prossimo articolo però la morte del nostro compagno mi ha costretto a raccontare anche la nostra sofferenza.

La loro violenza è tutta ragionevole comunque – come diceva il poeta Nâzım Hikmet: “la paura di colui che ha tradito il suo Popolo non ha eguali”.

Dedico questo articolo e i prossimi articoli al Compagno Abdullah, morto per la Libertà.

Aytekin Kaan Kurtul, membro del Partito dei Lavoratori

(Fonte: http://www.ticinolibero.ch/)

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