Sacralità e significato del denaro nelle società antiche

I Greci (come gli antichi Romani), consideravano sacra la “moneta” (a Roma era dedicata a Giunone). A dire il vero questa sacralità è propria di tutti i popoli indoeuropei. Nell’antica civiltà dell’Indo e del Saraswati, vecchia di diecimila anni, la monetazione era rappresentativa del potere divino, non era quindi considerata -com’è oggi- un semplice mezzo di scambio facilitato da un valore convenzionalmente riconosciuto, bensì un “dono” del Cielo per consentire il funzionamento della società. In Cina addirittura già alcune migliaia di anni fa era in uso la “cartamoneta” per l’interscambio fra il mondo dei vivi e quello dei morti, Tale cartamoneta veniva ritualmente bruciata davanti ad un altare dedicandone i frutti all’avo defunto prescelto, il quale nell’aldilà riceveva l’equivalente per soddisfare i suoi bisogni ultraterreni. D’altronde anche in India c’era la consuetudine di bruciare incenso e mirra a vantaggio dei defunti, poichè si dice che le anime possono godere degli effluvi a loro dedicati. Oggi tutta questa sacralità è ridotta ad un servizio “bancomat” e la moneta (in quanto monetine metalliche) non solo è irrisa poichè di infimo valore ma spesso ho notato che se trattasi di pochi centesimi caduti in terra quelle monetine non vengono nemmeno raccolte poichè considerate insignificanti, mentre si da grande valore agli assegni ed alle banconote di grosso taglio (nominale) o simili valori fittizi, che sono semplici pezzi di carta colorata nemmeno dotati di controvalore qualsivoglia. Segnalo un articolo sulla monetazione nell’antica Grecia consigliatomi da Claudio Martinotti Doria, che scrive: In questo periodo, economicamente così disastrato, nel quale gli stati (non più molto “sovrani”), cercano di riunire le persone intorno a delle emissioni di carta straccia, altrimenti chiamata “euro”, è assai interessante l’articolo di Nuccio D’Anna che ci ricorda come “battere moneta” fosse un evento sacro, affidato alle classi sacerdotali. Ciò avveniva in tutte le società tradizionali e D’Anna ci parla soprattutto di quella greca”

Le radici sacre della monetazione ellenica (di N. D’Anna)

Alle origini della metallurgia ellenica troviamo una profonda solidarietà fra l’arte tecnico-magica dei fabbri e l’arcaica sovranità sacra. Questa profonda simbiosi emerge con chiarezza anche nel processo di trasformazione della monetazione greca quale è possibile registrare già a partire dall’età omerica. Secondo gli studi di Edouard Will che sviluppava in senso etico le pionieristiche analisi di Bernhard Laum più attente alla dimensione religiosa che sostanziava l’antica ricchezza, gli importanti spostamenti di artigiani che è possibile delineare a partire dal II millennio nel bacino del Mediterraneo orientale coincidono in Grecia con la trasformazione delle antichissime forme di monetazione e con l’istituzione della moneta quale valore pratico e materiale garantito dalla città-stato. Nel periodo di passaggio dalla civiltà micenea al mondo ellenico “classico”, le pōleis sempre più laicizzate e democratiche riescono finalmente ad impadronirsi delle miniere ricche di metallo prezioso, prima esclusivo possesso della casate nobiliari e dei sovrani. La conseguenza inevitabile sarà prima di tutto la sparizione delle corporazioni sacre dei minatori che nel loro lavoro ritenevano di incarnare o di “rappresentare” esseri semi-divini come i Ciclopi, poi l’abolizione del privilegio del conio e della lavorazione della moneta goduto dalle consorterie dei fabbri-maghi che avevano ereditato questo diritto da tempi immemorabili, infine la sostituzione della “moneta di sacrificio” o della “moneta di sangue” ancora legata alle attività rituali e ai sacrifici delle grandi famiglie aristocratiche, con una moneta uguale per tutti: la dikē cittadina sostituisce definitivamente la dikē divina.

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