Calcata: come produrre energia da fonti rinnovabili senza distruggere l’habitat? – Cappello introduttivo per il convegno del 13 marzo 2010 su “Energia pulita in chiave sostenibile”

Voglio iniziare questa breve analisi ricordando l’avvio, il 30 luglio 2008  a Torre Valdaliga nord (Civitavecchia), della riconversione della centrale ad olio combustibile sostituito dal cosiddetto “carbone pulito” (scusate l’eufemismo). Da notare che quest’impianto, ora crudamente contestato,  fu voluto dal governo Prodi e votato dalle stesse forze (verdi, comunisti, etc) che ora montano la protesta.

Ma qui debbo dire che capisco perfettamente i cittadini dell’alto Lazio che si vedono inquinare (senza vantaggi di ritorno) per scelte non loro, come capisco le proteste degli abitanti dell’arco alpino che  vivono a ridosso delle centrali nucleari Francesi. Noi compriamo energia elettrica dalla Francia ma le loro centrali sono  ai confini con l’Italia (che al presente è ancora un paese denuclearizzato). Queste incongruenze della povera Italia hanno una storia lunga   dietro….  La storia inizia con il “boom” economico del dopoguerra, con la creazione dell’Eni e con la scomparsa  (uccisione?) di Mattei il suo presidente battagliero che si era messo in testa di rendere il nostro paese “autonomo” dal punto di vista energetico. L’autonomia dello Stivale non è mai piaciuta  alle Grandi Potenze, l’Italia poteva anche sviluppare una sua economia industriale purché restasse succube e ricattabile. Vedi ad esempio, una cosa che può sembrare banale, la sostituzione della canapa (che per legge fu proibita dal trattato di pace con gli USA) per poter introdurre il nylon e le fibre sintetiche.  Ma andiamo per ordine. 

Il nostro Paese sino alla fine degli agli anni ’50 ed in parte ‘60 del secolo scorso ricavava la massima parte di energia elettrica  attraverso centraline idroelettriche poste lungo i fiumi che scorrono nel mezzo di  tutte le città italiane (infatti le città una volta nascevano proprio lungo i fiumi per  ovvia ragione  approvigionativa).

Sino ad un certo punto questa produzione energetica localizzata funzionò,  il problema di ampliarne la quantità  venne solo con l’avvento del modello consumista, per  produrre utensileria perlopiù di plastica, quali: suppellettili, mobili, giocattoli, stoviglie, etc. Da quel momento l’Italia si dovette piegare al sistema della produzione elettrica concentrandola in grossi impianti che  funzionavano (e funzionano) ad olio combustibile.  Sappiamo quali erano gli interessi delle case produttrici del petrolio e così andò a finire che diventammo sempre più schiavi di scelte economico-politiche “atlantiche” che non erano per nulla negli interessi nazionali.   Poi ci provammo con il nucleare, anche questo non per nostro interesse, ma fu abbandonato in seguito ad un referendum nazionale. Ci  abbiamo infine riprovato con il metano ma anche questo (lungi dalla ricerca di fonti nostrane) arriva da paesi  che possono chiuderci i rubinetti -Russia ed Algeria- anche perché le condotte italiane sono “terminali”  ovvero non “transitano” sul nostro territorio nazionale ma finiscono qui…

Ma torniamo a parlare di come si potrebbe risolvere il problema energetico nella penisola. Certo il “carbone pulito” non è la soluzione, come non lo è il nucleare… il petrolio è in fase di esaurimento ed anch’esso  viene importato come il metano e  come lo sarebbe l’uranio (se si vorrà tornare al nucleare). Di cosa è ricca l’Italia? Per antonomasia canora si dice “chisto è ‘o paese do sole..” quindi si potrebbe ricorrere al solare, ma attualmente i pannelli solari anch’essi inquinano, soprattutto nella fase produttiva del silicio necessario al loro funzionamento,  ma si potrebbe (sviluppando la sperimentazione in tal senso) allungarne la capacità di raccolta e la  durata (che oggi arriva a circa vent’anni).

Ciò non sarebbe però sufficiente per soddisfare le esigenze della grande industria del futile. Si potrebbero allora  realizzare impianti ad idrogeno, in effetti i motori ad idrogeno  esistono da anni (basti pensare ai razzi che vanno a questo propellente) e tra l’altro la scissione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno sarebbe facilmente ottenuta con pannelli solari, ma l’idrogeno non piace ai potentati economici che campano sul petrolio. Si potrebbe ricorrere  alla geotermia e persino ai famigerati  “termovalorizzatori”  ma anche questi inquinano (la cosa da ridere è  che inviamo la plastica  differenziata delle nostre immondizie in Germania, pagando per lo smaltimento, e poi la Germania con essa ci produce corrente elettrica che rivende all’Italia…. e noi  paghiamo 2 volte….). 

Una soluzione intelligente potrebbe derivare dalla riconversione dei rifiuti organici e dei liquami in biogas, un ciclo concluso come si dice in gergo, ad esempio in certi paesi dell’Asia nei villaggi si produce elettricità dal gas ottenuto con la cacca degli umani e degli animali.   Insomma tutte queste opzioni potrebbero andar bene… l’importante -per ora- sarebbe diversificare al massimo e cercare di rendere la produzione energetica il più possibile “autonoma” e non soggetta a ricatti esterni.  Ma per far questo serve una chiara volontà e coraggio politico e soprattutto un reale decentramento  produttivo. Teoricamente anche forze come la Lega, attualmente al governo,  dovrebbero essere interessate a tale decentramento ma questa scelta non piace alla grande industria ed alle multinazionali e (come abbiamo visto in altri casi)…. i conflitti di interessi  sono troppo forti.

Da non trascurare nel contesto generale di una riorganizzazione nella produzione energetica  l’aspetto del risparmio energetico derivato dalla coibentazione degli edifici.  E poi perché non considerare il riciclaggio totale dei rifiuti solidi urbani? Carta che ritorna carta, metallo che ritorna metallo, vetro che ritorna vetro, etc. Ma soprattutto occorre tornare alla produzione energetica locale.  Ogni comune od al massimo provincia può tranquillamente produrre energia senza ricorrere né al poli-combustibile, né al carbon fossile, né al nucleare. Basta utilizzare in modo intelligente le fonti naturali presenti sul luogo: sole, vento,  geotermia,  biogas, corsi d’acqua,  etc.

E  faccio degli esempi concreti. Se invece di essere concentrata in grossi impianti industriali la produzione energetica fosse diffusa sull’intero territorio nazionale  è vero che a Civitavecchia e Montalto scomparirebbe qualche inutile e dannoso  posto lavoro ma ne sorgerebbero a migliaia in altri contesti. Nella produzione e montaggio di pannelli solari ad esempio nel ripristino di chiuse idriche e ventole, nel recupero di materie organiche di scarto per il biogas, nell’utilizzo di fonti termali…. d’impianti per biomasse, etc.   Ed in tutti quei  modi in cui si può produrre energia elettrica pulita…. E così  si può anche incentivare l’occupazione.  Il sovrappiù energetico che non servisse al comune od alla provincia potrà essere “venduto” all’Enel e ritrasmesso a città come Roma che forse non ce la fanno ad auto-sostenersi. Dico “forse” ma son convinto che con un po’ d’inventiva ed intelligenza persino Roma potrebbe diventare autosufficiente, basterebbe cominciare ad utilizzare in toto l’organico che ora finisce al macero in discarica. Ed inoltre vediamo quanta dell’energia assorbita da Roma è veramente necessaria al suo funzionamento sociale, magari si scopre che tantissima energia va sprecata inutilmente

Il metodo “eolico” merita un capitolo a parte nell’analisi. In effetti l’eolico potrebbe funzionare benissimo, purché non sia una scusa per aggredire territori vergini che, in seguito all’installazione di mega impianti pesantissimi, vedono trasformare la denominazione d’uso da “agricola, boschiva e pastorale” a “industriale”…. Tra l’altro la maggior parte degli impianti così realizzati sono rimasti cadaveri inusati,  poiché non sono nemmeno collegati all’Enel. In effetti il sistema eolico pesante è spinto da poteri mafiosi che aggrediscono le ultime zone verdi d’Italia. C’è poi la concentrazione di emissioni elettromagnetiche ed il rumore che diversi studi scientifici americani dimostrano causa di malattie per gli umani e gli animali che vi sono soggetti. Senza contare la distruzione ambientale e la deturpazione sul  paesaggio, altrimenti usabile anche come risorsa turistica e culturale. Forse gli unici punti in cui si potrebbe prevedere l’installazione di piloni pesanti sono alcune aree già fortemente degradate, come lungo le autostrade o le zone industriali, dove tra l’altro l’energia prodotta potrebbe essere direttamente usata in loco. Diverso il discorso sul mini eolico e sul piccolo solare, per consumo immediato e diretto, che sarebbe indicato soprattutto per portare all’autonomia energetica tutte le abitazioni periferiche.

In verità per rendere  l’Italia libera da ricatti energetici occorrerebbe che il modello consumista venisse rivisto, la produzione industriale oggi è tutta tesa al superfluo (imballi, ciarpami ed  involucri usa e getta) ed andrebbe riordinato tutto il sistema  di produzione e riciclo rispettando la  “sostenibilità ecologica ” e le reali necessità  sociali.

Paolo D’Arpini – Coordinatore della  Rete Bioregionale Italiana,  Bioregione Tuscia. 

Programma del Convegno: Sabato 13 marzo 2010 – Presso Il Granarone – Calcata Vecchia – “Energia pulita in chiave sostenibile” -  Introduzioni di Enrico Bianchi e Paolo D’Arpini – Moderatrice alla   tavola rotonda,  Dott.ssa Giovanna Canzano.

Interventi di: Prof. Benito Castorina, Avv. Vittorio Marinelli, Avv. Giancarlo Castiglia, Dr. Giorgio Vitali, Dott.ssa Simonetta Badini, Dr.  Franco Proietti.  Gli interventi saranno intercalati da poesie e canzoni curate da Patrizia Pellegrini.

Info ed adesioni:

Enrico Bianchi -  Tel. 389.1955880  – bianchistudio@gmail.com

Paolo D’Arpini, Tel. 0761/587200 – circolo.vegetariano@libero.it

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