Storie di donne e di madonne: “Corpi femminili minacciati dalla violenza maschilista e razzista” e “La Madonna della Vittoria contro i Turchi”

Ho ricevuto queste due storie raccontate da due donne, forse potrebbero sembrare in antitesi o non collegate fra loro… le ho trovate comunque significative e le pubblico assieme per la vostra delizia! (Paolo D’Arpini)

 

 

Prima storia.

La mirabile sintesi dei fatti é di Vittorio Feltri sul “Giornale” del 21 settembre 2009: “Altro che integrazione e società multiculturale predicata da chi ha la testa nelle nuvole; siamo all’allarme rosso. Tre o quattro giorni fa un cuoco marocchino ha ucciso a coltellate la figlia diciottenne colpevole di essere fidanzata con un cittadino italiano e di vivere all’occidentale; ed il 20 settembre l’onorevole Daniela Santanché é stata malmenata perché, al teatro Ciak di Milano, dove era in corso la cerimonia di fine Ramadan, protestava pacificamente contro il burqa indossato da numerose donne islamiche”.

 

La sequenza non fa una piega e porta alla inevitabile conclusione: primo, “le signore islamiche in burqa non sono in regola” e dunque vanno punite; secondo, é ora di smetterla col buonismo di chi “preferisce subire culture esotiche piuttosto che conservare e difendere la propria”, e di usare il

pugno duro contro gli immigrati islamici.

 

Naturalmente, sulla veridicità della sequenza ricostruita da Feltri non si trova su tutta la stampa una sola conferma: se la protesta dell’onorevole Santanché fosse stata davvero pacifica o se viceversa, come sostiene la comunità islamica, fosse una provocazione bella e buona con tanto di turbativa di culto, non é dato saperlo in base alle testimonianze. Quello che invece é finalmente chiaro é come l’onorevole intende portare avanti la sua “battaglia per la libertà delle islamiche”.

 

Presentandosi a una festa religiosa scortata da una decina (altri scrivono una trentina) di uomini, per esempio. Invocando contro l’uso del burqa una legge emessa con motivazioni (controversissime) di ordine pubblico, come se fra chi si copre il viso per -poniamo- lanciare una bomba e rendersi irriconoscibile e chi se lo copre perché costretta da una consuetudine disumana non ci fosse nessuna differenza. Proponendo di elaborare, noi europei, una carta dei diritti delle islamiche che “sancisca il rispetto dei nostri valori”, compreso, si suppone, il diritto a prostituirsi per l’ormai famoso divertimento dell’imperatore. Alzando il livello dello scontro di civiltà fra Occidente e Islam nelle nostre città e nei nostri quartieri.

 

E incoronandosi liberatrice delle altre, che “non osano ribellarsi, quindi dobbiamo farlo noi per loro”. Lo schema é quello, pari pari, delle guerre in Afghanistan e in Iraq: là si esporta democrazia con le bombe, qua si esportano diritti femminili con le incursioni virilmente scortate nei luoghi di culto (del resto, quelle guerre furono legittimate anche in base a questi diritti). Nell’un caso e nell’altro, in nome dell’universalismo. Conosciamo l’antifona. Quello che non sapevamo, é che tanta professione di fede nell’universalismo dei diritti e nella solidarietà femminile potesse valere per le diverse ma non per le simili: qualcuno ricorderà che l’onorevole in questione é la stessa che si prestò, su “Libero” allora diretto dal solito Feltri, alla lapidazione di Veronica Lario tramite “rivelazione” della sua presunta tresca con una body guard. E qui finisce la santificazione e martirizzazione dell’onorevole.

 

Quello che non finisce invece é il compianto per l’assassinio di Sanaa Dafani per mano di suo padre, nonché l’esterrefazione per la dichiarazione (spontanea? obbligata? estorta?) di sua madre, disposta a perdonare il marito colpevolizzando la figlia e il fidanzato della figlia, reo di essere italiano e cattolico. Anche qui, come ha già scritto Manuela Cartosio, il copione delle reazioni si ripete, ricalcato sull’analogo caso di Hina Saleem. Mi ripeto anch’io dicendo che la “mostruosità” del

padre di Sanaa é pari a quella dei padri, mariti, fidanzati di casa nostra che ogni giorno massacrano figlie, mogli, fidanzate ed ex fidanzate riempiendo le statistiche della cosiddetta “violenza domestica” sulle donne; e che l’essere marocchino e musulmano non é né un’attenuante né

un’aggravante.

 

Ha ragione però Manuela quando dice che questo non ci esonera dalla ricerca di un di più di vicinanza alle immigrate che subiscono la pressione incrociata della violenza di sesso, dell’ossessione identitaria delle loro comunità, dello stress culturale. Mentre il Berlusconigate ci sospinge a combattere sul fronte della mercificazione organizzata del corpo femminile “liberato”, altri corpi femminili minacciati ci chiamano a un confronto e a uno scambio. Ma non con le provocazioni, non con le leggi di ordine pubblico, non con la spocchia mal riposta della superiorità occidentale.

 

Ida Dominijanni

 

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Seconda storia.

“Ti ringrazio infinitamente Paolo per la fiducia e la “presenza”; sei sempre un mio punto di riferimento e, anche a scuola, spesso, mentre “spiego”, immagino che tu sia presente fra i miei alunni, con tranquilla predisposizione all’ascolto.. questo mi crea un senso di felice serenità! Oggi si festeggia Santa Maria del Rosario.. una bella “storia” è legata a questa data.. ricordi?”  (Antonella Pedicelli)

7 ottobre: La festa celebra la vittoria riportata nel 1571 a Lepanto dalla Lega Santa contro i Turchi.

Storia della festa.  La festa del Rosario fu istituita da san Pio V, in ricordo della vittoria riportata a Lepanto sui Turchi. E’, cosa nota come nel secolo XVI dopo avere occupato Costantinopoli, Belgrado e Rodi, i Maomettani minacciassero l’intera cristianità. Il 20 maggio 1571 venne firmata la Lega Santa contro i Turchi. Vi aderirono il regno di Spagna, la repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio, le repubbliche di Genova e di Lucca, i Cavalieri di Malta, i Farnese di Parma, i Gonzaga di Mantova, gli Estensi di Ferrara, i Della Rovere di Urbino, il duca di Savoia, il granduca di Toscana.

La flotta Cristiana era costituita da: – 104 galee sottili sotto il comando della Repubblica di Venezia; 54 erano con equipaggi provenienti da Venezia, 30 da Creta, 7 dalle Isole Ionie, 8 dalla Dalmazia, 5 da città di terraferma. – 6 galeazze sotto il comando della Repubblica di Venezia. Le galeazze erano munite di 40 o più cannoni, in grado di sparare palle da 13 chilogrammi in coperta e da 23 chilogrammi da sottocoperta. Si trattava di vere e proprie fortezze galleggianti. – 36 galee sotto il comando del re di Spagna con equipaggi di Napoli e Sicilia. – 22 galee sotto il comando del re di Spagna con equipaggi di Genova; si trattava di navi prese a nolo dal finanziere Gian Andrea Doria. – 12 galee mandate da Cosimo I dei Medici, armate ed equipaggiate dai Cavalieri dell’ordine pisano di Santo Stefano – 12 galee dello Stato Pontificio, concesse dai veneziani ed armate ed equipaggiate a spese del papa. – 3 galee del duca di Savoia (la Piemontese, la Margarita e la Duchessa), – 3 galee dei Cavalieri di Malta. In totale 195 tra galee e galeazze. Gli equipaggi erano scarsi e costituiti essenzialmente da cristiani volontari e forzati. La penuria costrinse a mettere solo 3 uomini per remo.

 La truppa era costituita da: 20.000 soldati a spese della Spagna; 5.000 militari al soldo di Venezia; 2.000 soldati pagati dallo Stato Pontificio; 3.000 volontari provenienti da tutta la Cristianità. Complessivamente circa 30.000 uomini. Sulle galee e sulle galeazze vennero imbarcati 1815 cannoni. Le galee veneziane erano in buono stato, ma con pochi soldati. Don Giovanni d’Austria vi fece imbarcare 4.000 soldati italiani e spagnoli.

I Turchi avevano schierate 274 navi da guerra, di cui 215 galee, e disponevano di 750 cannoni. Il centro turco, al comando diretto di Mehmet Alì Pascià, era costituito da 96 galee. Di fronte ai veneziani era Muhammad Saulak, detto anche Maometto Scirocco, governatore dell’Egitto, con 56 galee. Uluj Alì, il rinnegato Occhiali, con 63 galee e galeotte, era di fronte a Gian Andrea Doria, che a Tripoli era dovuto fuggire di fronte al corsaro. Una forte riserva, comandata da Amurat Dragut, era dietro la linea delle galee turche.

Mehmet Alì Pascià era a bordo della Sultana, su cui sventolava il vessillo verde su cui era stato scritto 28.900 volte a caratteri d’oro il nome di Allah. Don Giovanni d’Austria, comandante della flotta, ebbe l’ordine di dar battaglia il più presto possibile. Saputo che la flotta turca era nel golfo di Lepanto, l’attaccò il 7 ottobre dei 1571 presso le isole Echinadi.

Nel mondo intero le confraternite del Rosario pregavano intanto con fiducia. I soldati di Don Giovanni d’Austria implorarono il soccorso del cielo in ginocchio e poi, sebbene inferiori per numero, cominciarono la lotta. Dopo 4 ore di battaglia spaventosa, di 300 vascelli nemici solo 40 poterono fuggire e gli altri erano colati a picco mentre 40.000 turchi erano morti. L’Europa era salva.

Nell’istante stesso in cui seguivano gli avvenimenti, San Pio V aveva la visione della vittoria, si inginocchiava per ringraziare il cielo e ordinava per il 7 ottobre di ogni anno una festa in onore della Vergine delle Vittorie, (inizialmente detta di S. Maria della Vittoria), titolo cambiato poi da Gregorio XIII in quello di Madonna del Rosario. La celebrazione venne estesa nel 1716 alla Chiesa universale, e fissata definitivamente al 7 ottobre da S. Pio X nel 1913.

La «festa del santissimo Rosario», com’era chiamata prima della riforma del calendario del 1960, compendia in certo senso tutte le feste della Madonna e insieme i misteri di Gesù, ai quali Maria fu associata, con la meditazione di quindici momenti della vita di Maria e di Gesù. Il Rosario è nato dall’amore dei cristiani per Maria in epoca medioevale, forse al tempo delle crociate in Terrasanta. L’oggetto che serve alla recita di questa preghiera, cioè la corona, è di origine molto antica. Gli anacoreti orientali usavano pietruzze per contare il numero delle preghiere vocali. Nei conventi medioevali i fratelli laici, dispensati dalla recita del salterio per la scarsa familiarità col latino, integravano le loro pratiche di pietà con la recita dei « Paternostri », per il cui conteggio S.Beda il Venerabile aveva suggerito l’adozione di una collana di grani infilati a uno spago. Poi, narra una leggenda, la Madonna stessa, apparendo a S. Domenico, gli indicò nella recita del Rosario un’arma efficace per debellare l’eresia albigese.

Nacque così la devozione alla corona del rosario, che ha il significato di una ghirlanda di rose offerta alla Madonna. Promotori di questa devozione sono stati infatti i domenicani, ai quali va anche la paternità delle confraternita del Rosario. Fu un papa domenicano, appunto S. Pio V, il primo a incoraggiare e a raccomandare ufficialmente la recita del Rosario, che in breve tempo divenne la preghiera popolare per eccellenza, una specie di «breviario del popolo», da recitarsi la sera, in famiglia, poiché si presta benissimo a dare un orientamento spirituale alla liturgia familiare.

Pace e bene….

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