La scuola secondo Piero Calamendrei con commento di Antonella Pedicelli

Il nome di Piero Calamandrei, forse, non dirà molto agli studenti che protestano contro settantenni incartapecoriti che gli hanno rubato il presente e gli vogliono togliere la speranza di un futuro.

Il suo nome, forse, non avrà significato per i ragazzi e le ragazze che vedono al vertice delle istituzioni, dell’economia, dell’informazione del loro Paese dei pregiudicati, dei servi, dei lacchè.

Calamandrei, forse, non dirà nulla alla nostra gioventù che vede la Costituzione tradita dal Parlamento, migliaia di caduti sul lavoro ogni anno, milioni di precari e il padre, o la madre, licenziati.

Calamandrei fu professore durante il fascismo, uno dei pochi a non avere nè chiedere mai la tessera del partito. Fondò il Partito d’Azione e fu membro della Consulta. La stessa che oggi è merce di scambio tra lo psiconano e Topo Gigio. Nel 1950 fece un discorso sulla Scuola, parole che sembrano dette oggi per la Scuola della P2

L’ipotesi di Calamandrei.

“Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.

  Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica,intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di previlegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole , perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi,come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili,si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola previlegiata.   Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare prevalenza alle scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.”   Piero Calamandrei   Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III congresso dell’Associazione a Difesa della Scuola Nazionale, a Roma l’11 febbraio 1950   Commento dell’insegnante Antonella Pedicelli.   Caro Paolo. Grazie innanzitutto per il testo di Calamandrei che gentilmente mi hai inoltrato: non mancherò di farlo leggere a molte mie colleghe, sensibili all’argomento e al clima di questi giorni! Come ti dicevo, il lato positivo sta proprio nella possibilità di “tirar fuori”, da una specie di vecchio calderone, il pensiero di tanti uomini e donne, che, nel corso del tempo, hanno fatto sentire la loro voce in merito a questioni di “ordine pubblico”.    Io ho una gran voglia di urlare il canto libero di chi crede ancora nel valore dell’insegnamento, del vero insegnamento, fatto di “pensiero e azione”, adattato alle circostanze, reso nobile da una lingua docile e plasmata sul principio del “Rispetto”.     L’uomo che parla ad un popolo non può dimenticare che le sue parole non sono “solo sue”, che tali parole vanno calibrate e dolcemente adattate alla “folla” che lo ascolta. Un leader, per essere tale, deve “farsi umile tra gli umili”, pastore e agnello allo stesso tempo, ma soprattutto, non deve dimenticare che imporre qualcosa alle altrui coscienze, senza adeguata volontà di bene, è una violenza e come tale viene percepita!  Cito, a tal proposito una frase di Gandhi, a me molto cara: “La coscienza non è la stessa per tutti. Quindi, mentre essa rappresenta una buona guida per la condotta individuale, l’imposizione di questa condotta a tutti sarebbe un’insopportabile interferenza nella libertà di coscienza di ognuno”. Un insegnante non si perde nelle troppe vane parole, guida con i “fatti”, con la corretta azione “morale” insita nella sua stessa condotta di vita..porsi in cattedra solo per “esibire” il proprio “EGO”, è una ferita nel cuore della storia stessa, la quale, spesso, non ha pietà verso coloro che recitano un ruolo per il quale non sono “portati”! Antonella Pedicelli

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